Cosa c’è dentro il ddl sicurezza. Proteste, carcere, cpr e cannabis: la parola d’ordine è reprimere

Il disegno di legge voluto dal governo Meloni e dai ministri Piantedosi, Nordio e Crosetto, introduce nuovi reati e prevede pene più pesanti per chi protesta, con l’obiettivo di mettere a tacere ogni forma di dissenso. Tre le proposte, il permesso alle forze di polizia di detenere fuori servizio armi senza licenza

Redazione lavialibera Aggiornato il giorno 16 settembre 2024

Pene più severe per chi contesta e blocca la strada, maggiori poteri alle forze di polizia, stretta sulla cannabis legale e una serie di provvedimenti che puntano a sedare sul nascere le proteste in carcere e all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Sono alcuni degli argomenti contenuti nel ddl sicurezza proposto dal governo guidato da Giorgia Meloni, al momento in discussione alla Camera.

Il disegno di legge 1660 – Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario – è stato presentato il 22 gennaio 2024 dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e dal ministro della Difesa Guido Crosetto ed esaminato, a partire dal 27 febbraio, dalle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera. L’iter si è concluso il 6 agosto, con il testo (largamente modificato) che dal 10 settembre è all’esame della Camera.

In questo articolo, in cui iniziamo ad esplorare alcune parti del disegno di legge, proponiamo l’elenco dei temi dal nostro punto di vista più significativi contenuti nel ddl:

Repressione del dissenso

Il ddl (art. 14) vuole punire i manifestanti che bloccano con il proprio corpo le strade o le ferrovie, trasformando quello oggi è un illecito amministrativo in illecito penale. E quindi, ad esempio, gli attivisti del clima che agiscono in gruppo rischiano ora la reclusione da 6 mesi a 2 anni, oltre al pagamento di una multa fino a 300 euro.

Condanne più pesanti anche per chi, durante le manifestazioni che si svolgono in luoghi pubblici o aperti al pubblico, si rende colpevole del reato di danneggiamento. Nello specifico, il ddl (art. 12) prevede due diverse fattispecie di danneggiamento: la prima, “semplice”, è punita con la reclusione da 1 a 5 anni; l’altra, con violenza alla persona o minaccia, è punita con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 5 annie con la multa fino a 15mila euro.

Il testo (art. 19) prevede una circostanza aggravante dei delitti di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. Un’ulteriore aggravante è prevista se il fatto è commesso per impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, come ad esempio il ponte sullo Stretto di Messina o la linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, Tav.

Pugno di ferro anche per chi occupa un immobile di proprietà altrui, con il ddl (art. 10) che mira a introdurre il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui, oltre a una procedura d’urgenza per il rilascio dell’immobile e la sua restituzione.

Stretta su carcere e cpr

L’articolo 26 del ddl prevede una serie di misure per garantire “maggiore sicurezza” nelle carceri. Fra queste, l’aggravante del reato di istigazione a disobbedire alle leggi (se commesso all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute) e, soprattutto, l’introduzione nel codice penale (art. 415-bis) di un nuovo reato: il delitto di rivolta all’interno del carcere. Ciò significa che i detenuti che facciano “resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini impartiti”, anziché ricevere provvedimenti discliplinari, come avviene ancora oggi, saranno punibili sul piano penale. Perché scatti il reato, basta che al gesto parceipino almenotre detenuti.

La pena “base” è la reclusione da 2 a 8 anni, che in determinate circostanze aggravanti può aumentare. E così, l’aver commesso il fatto con uso di armi è punito con la reclusione da 3 a 10 anni;  l’aver causato una lesione personale implica l’aumento della pena fino ad un terzo; l’aver causato la morte è punito con la reclusione da 10 a 20 anni. È inoltre specificato che le stesse pene si applicano anche se la lesione personale o la morte avvengono immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di quest’ultima. La sola partecipazione alla rivolta è invece punita con la reclusione da 1 a 5 anni.

Riguardo ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), l’articolo 27 introduce anche in questo caso un nuovo reato finalizzato a reprimere gli episodi di proteste violente. È punito con la reclusione da 1 a 6 anni chi promuove, organizza e dirige una rivolta, mentre la sola partecipazione prevede una pena da 1 a 4 anni. Nel caso in cui vi sia un utilizzo di armi, si rischiano da 2 agli 8 anni, mentre se nel corso della rivolta qualcuno rimane ucciso o riporta lesioni gravi o gravissime (anche nel caso in cui l’uccisione o la lesione personale sia avvenuta immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di quest’ultima) la reclusione prevista va dai 10 ai 20 anni.

Il ddl sicurezza intende anche semplificare le procedure per la costruzione di nuovi Cpr, nonché quelle per la localizzazione, l’ampliamento e il ripristino dei centri esistenti. Il primo passo per la costruzione di nuove strutture di detenzione amministrativa, già promesse dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Non sono risparmiate neppure le donne incinte o madri di figli che hanno meno di un anno. L’articolo 15 apre la possibilità del carcere anche per chi prima ne era esclusa: non sarà più automatica l’esclusione della detenzione per donne incinte e madri, che quindi potranno scontare la pena istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Nessuna possibilità di evitare il carcere, invece, se per la giustizia esiste il grave rischio che la donna commetta altri reati. In questi casi i neonati resteranno in carcere con le loro madri.

Maggiori tutele per le forze di polizia

Il ddl prevede una serie di misure che tutelano le forze di polizia. L’articolo 20, in particolare, vuole introdurre il nuovo reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza che svolge le sue funzioni, con pene da 2 a 5 anni nel caso di lesioni semplici; da 4 a 10 anni nel caso di lesioni gravi; da 8 a 16 anni nel caso di lesioni gravissime. Una differenza sostanziale rispetto a oggi, con il reato circoscritto alle sole lesioni personali subite da agenti di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive. Inoltre, viene introdotta una specifica sanzione (da 2 a 5 anni) per le lesioni semplici.

Stanziamento per le bodycam degli agenti

Il governo ha intenzione di stanziare più di 23 milioni di euro nel triennio 2024-2026 per dotare le forze di polizia (polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria) di dispositivi di videosorveglianza indossabili – le cosiddette bodycam – per registrare l’attività operativa e il suo svolgimento durante i servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili, nonché in ambito ferroviario e a bordo treno. La novità (art. 21) rischia di ledere il diritto alla privacy, tant’è che già nel 2021 il garante per la protezione dei dati personali aveva precisato che le videocamere indossabili potevano essere attivate solo in concrete situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine pubblico.

Il garante aveva quindi aggiunto che non è ammessa la registrazione continua delle immagini, né quella di episodi “non critici”, fissando a sei mesi il periodo massimo di conservazione dei dati. Vietato, invece, dotare i dispositivi di tecnologie che consentano il riconoscimento facciale della persona. Il comma 2 dell’articolo prevede poi che i dispositivi di videosorveglianza possano essere utilizzati nelle carceri e nei cpr. In questo caso la strumentazione può essere sia portatile che fissa.

Più fondi per le spese legali degli agenti

Per le forze di polizia e le forza armate il ddl mira a introdurre, a partire dal 2024, un beneficio economico per le spese legali sostenute da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, nonché dai vigili del fuoco, indagati o imputati nei procedimenti riguardanti fatti accaduti in servizio. Il beneficio ha un importo massimo di 10mila euro per ciascuna fase del procedimento e in caso di condanna, chi ne usufruisce può essere costretto a restituire il denaro ricevuto. La norma specifica poi che possono accedere al beneficio anche il coniuge, il convivente di fatto e i figli del dipendente deceduto. Per la copertura legale, lo Stato ha previsto di stanziare 860mila euro all’anno.

L’articolo 28, che ha scatenato un acceso dibattito, autorizza gli agenti di pubblica sicurezza (carabinieri, poliziotti, finanzieri e agenti penitenziari) a possedere armi senza licenza quando non sono in servizio. È curioso come il riferimento normativo sia il Regio decreto n. 773 del 1931, che comprende “arma lunga da fuoco, rivoltella e pistola di qualunque misura, bastoni animati con lama di lunghezza inferiore ai 65 centimetri”. Fra le altre figure che possono detenere armi senza alcuna licenza per la difesa personale vi sono il capo della polizia, i prefetti, i viceprefetti, gli ispettoriprovincialiamministrativi, gli ufficiali di pubblica sicurezza, i pretori e i magistrati addetti al pubblico ministero o all’ufficio di istruzione.

Infine, l’articolo 24 prevede pene più severe per chi deturpa e imbratta beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche. Più nel dettaglio, qualora il fatto abbia la finalità di “ledere l’onore, il prestigio o il decoro” dell’istituzione, il colpevole rischia la reclusione da 6 mesi a 1 anno e 6 mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro.

Revoca della cittadinanza, niente sim senza permesso di soggiorno

L’articolo 9 intende revocare la cittadinanza italiana in caso di condanna definitiva per i reati di terrorismo, eversione e altri gravi reati. La norma stabilisce che non si può procedere alla revoca nel caso in cui l’interessato non possieda un’altra cittadinanza. Inoltre, si estende da 3 a 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna il termine per poter adottare il provvedimento di revoca.

In tema di diritti, l’articolo 32 modifica l’articolo 30 del codice delle comunicazioni elettroniche, disponendo la chiusura dell’esercizio o dell’attivitàda 5 a 30 giorni per i negozianti che vendono schede sim senza procedere all’identificazione dei clienti. Ma, soprattutto, il ddl dispone che il cittadino di un paese che non fa parte dell’Unione europea, sprovvisto di permesso di soggiorno in Italia, non possa stipulare un contratto di telefonia mobile. In altre parole, un migrante in condizione di irregolarità viene privato dell’unico strumento che gli permette di comunicare con la famiglia lontana.

Limitazioni all’uso della cannabis legale

L’articolo 18 prende di mira la canapa legale – con thc al di sotto dello 0,2 per cento – e mette al bando i cannabis shop attraverso il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti le infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii derivati.

Per i trasgressori si applicano le pesanti sanzioni previste dal Titolo VIII del dpr n. 309/1990 (che, ad esempio, punisce con la reclusione da 8 a 20 anni chi coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, sostanze stupefacenti o psicotrope). Il governo ha giustificato il provvedimento, spiegando che “l’assunzione di prodotti da infiorescenza della canapa possa favorire, mediante alterazioni dello stato psicofisico, l’insorgere di comportamenti che possono porre a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica o la sicurezza stradale”.

Caos cannabis

Un chiarimento del Ministero datato 10 settembre 2024, ha quindi aggiunto che “il ddl sicurezza non criminalizza né incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa, in quanto non vieta, né limita la produzione della cannabis”. Nello specifico, dal Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri sostengono che “con l’entrata in vigore della legge 242/2016 è stata avviata, illecitamente, anche la produzione e la commercializzazione, nei cosiddetti ‘cannabis shop’, di inflorescenze e suoi derivati, acquistati per un uso ricreativo, insinuando nella collettività la falsa idea di legalizzazione di una cannabis definita, erroneamente, ‘light’”. Secondo il ministero, l’emendamento al ddl non rischia di limitare la produzione dei derivati dalla cannabis e non incide sul mercato, consentendo la prosecuzione delle attività di chi ha investito nel settore. Produttori e commercianti però non la pensano così e hanno già preannunciato azioni legali per tutelare i loro affari.

Benefici per le vittime delle mafie, pentiti più protetti

L’articolo 5 del ddl, accogliendo la sentenza della Corte costituzionale dello scorso 21 maggio, stabilisce che i parenti delle vittime innocenti delle mafie e del terrorismo possano accedere ai benefici economici previsti dallo Stato, anche se hanno rapporti di parentela con persone condannate o coinvolte in un procedimento penale. “Con questa pronuncia lo Stato non ha più scuse – aveva commentato dopo la sentenza Daniela Marcone, responsabile dell’area memoria di Libera – ora c’è una carta d’appoggio e nessuno può ignorarla. Attraverso i benefici alle vittime si riconosce il diritto al lutto e al dolore, non si tratta come dice qualcuno soltanto di soldi”.

Il disegno di legge contiene una serie di provvedimenti che offrono maggiori tutele ai collaboratori di giustizia. In particolare, al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza dei pentiti e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a uno speciale programma di protezione, che non sono detenute o internate, viene consentita l’utilizzazione di un documento di copertura, nonché di identità fiscali di copertura, anche di tipo societario.

Il documento di copertura potrà essere utilizzato anche dai collaboratori (e loro familiari) che si trovano agli arresti domiciliario che fruiscono della detenzione domiciliare. È utile chiarire che mentre gli arresti domiciliari intervengono prima della sentenza definitiva di condanna, la detenzione domiciliare interviene dopo e rappresenta [continua a leggere su Lavialibera]

 

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