Roma: i due volti della Capitale

Chi volesse capire quale sia oggi una politica di sinistra (nel bene quanto nel male) potrebbe seguire attentamente le vicende dell’amministrazione Gualtieri a Roma (e prima di lui quelle di Rutelli e Veltroni): ne sono uno spaccato illuminante, un po’ come quelle sezioni longitudinali fatte dai geologi sul suolo che ne mostrano i diversi strati di terreno che si sono sovrapposti nel tempo.

Per Roma si è parlato spesso di una città decadente, in declino, ma è sbagliato, perché l’aggettivo implica che sia esistito, prima, un periodo di splendore subito seguito da un rapido collasso. L’espressione giusta è quella di stagnazione (salvo il breve periodo della sindacatura Argan-Nicolini), immobilità, che poi significa per Roma, vivere di una rendita lascito del passato: i monumenti, le rovine, quelli che Joyce chiamava i gioielli della nonna. La loro forza magnetica era, e tutt’ora è, tale che senza alcun intervento, la città continua a rappresentare, nel mondo, la Grande Bellezza, seppure sempre tremolante come la ricotta che rischia di scivolare in un estetismo immobile, preda del proprio passato e di una storica rassegnazione.

Uscire dalla stagnazione modernizzando la città è stato l’obiettivo dei sindaci di sinistra, da Rutelli a Veltroni; fare di Roma, come sostenne Borgna, la capitale della cultura. Rutelli, per primo, tentò la rinascita attraverso la formazione di una squadra di collaboratori (che insieme a lui avevano girato l’Europa alla ricerca di innovazioni) intenzionati a modernizzare una Capitale che non riusciva ad agganciare la velocità di altre grandi città europee, prese a modello di riferimento. Nacquero alcuni progetti: le cento piazze disseminate tra centro e periferia il cui esito fu in molti casi fallimentare e l’avvio di un nuovo Piano Regolatore Generale dopo che quello redatto nel 1962 era stato superato dalla realtà. Opera, quest’ultima, ripresa e portata a termine, nel 2008, dal sindaco Veltroni. Gestazione lunga e visione appannata con grandi compromessi con la proprietà privata.

Nacque allora quel mantra ossessivo che Roma si sarebbe dovuta modernizzare, riducendo la distanza dalle altre grandi capitali europee e non. Ma forse lo stesso concetto di modernizzare questa città così diversa da tutte le altre (delle quali si ammiravano e glorificavano i successi) era, per la Capitale, un concetto sbagliato, perché le imperfezioni sono anche spesso delle grandi opportunità. Ma modernizzare Roma non si sarebbe potuto fare, questa l’affermazione di tutti i sindaci, se non con l’intervento dei gruppi privati. Il caso delle compensazioni urbanistiche ha dimostrato però che a dare l’impronta al Piano Regolatore, allo sviluppo della Capitale, era, ed è, il mercato, le lobbies degli immobiliaristi e della grande finanza, dei costruttori, degli interessi privati. Il Piano Regolatore è stato il frutto avvelenato di questi compromessi con i poteri forti. Esso ha partorito due mostruose creature: le nuove centralità nelle periferie e la perversa “compensazione” urbanistica. Le prime hanno totalmente fallito l’obiettivo, risolvendosi, nella maggior parte dei casi, nella realizzazione di qualche centro commerciale. Le seconde hanno disseminato metri cubi di cemento nelle periferie oltre il Raccordo anulare con la giustificazione (mai del tutto dimostrata) che i proprietari delle aree vincolate dal vecchio Piano Regolatore andavano risarciti con terreni edificabili e cubature di gran lunga superiori (per edificazione) a quelli vincolati. Nel frattempo la logica del “pianificar facendo” (prassi quanto mai nefasta) e del “Modello Roma”, osannato dalla sinistra come esempio da esportare anche in altri contesti, nascondevano i cronici e storici mali di Roma: il traffico caotico, la carenza di servizi nelle periferie, lo smaltimento dei rifiuti, la burocratizzazione di un’amministrazione pletorica, la difficoltà, in una parola, a vivere quotidianamente in questa città. Da allora altre giunte si sono succedute: quella di Alemanno, di Marino, quest’ultima rovinosamente caduta per mano della stessa sinistra nella stanza di un notaio, e infine di Raggi. In tutto questo arco di tempo Roma ha continuato a vivere una rovinosa stagnazione con qualche sussulto di vita generato da qualche effimero evento.

Di qui la speranza che quella di Gualtieri potesse dimostrarsi finalmente una giunta di sinistra all’altezza delle aspettative, come da programma elettorale del sindaco. Ma i problemi anziché semplificarsi si sono fatti ancora più profondi, nonostante sulla Capitale siano piovuti enormi finanziamenti, quelli del PNRR e del Giubileo e nonostante al sindaco fossero assegnati i poteri di commissario straordinario. Ai mali cronici, mai risolti, se ne sono aggiunti di nuovi: l’overturismo che sta facendo salire alle stelle i prezzi degli affitti delle case che dimostrano che anche per nuclei e persone con redditi medi è diventato difficile trovare una casa a prezzi sostenibili, i dehors che hanno di fatto privatizzato le piazze e gli spazi pubblici di larga parte del centro, la carenza di alloggi popolari sostituiti dai cosiddetti housing sociali, la qualità dell’aria, la carenza di strutture sanitarie pubbliche, l’accoglienza ai migranti e ai senza fissa dimora, la trasformazione dei monumenti in merci e, ultima arrivata, la rigenerazione urbana, vero cavallo di Troia per speculazioni edilizie (vedi il caso Milano). Il risultato di questa effimera modernizzazione è stato quello di trasformare la città in una vetrina ad uso esclusivo di turisti in cerca di novità e di allargare la forbice tra centro e periferia.

La girandola di opere messe in cantiere e la loro mole confondono qualsiasi osservatore che voglia giudicare l’operato di questa amministrazione. Accanto a buone intenzioni si moltiplicano interventi effimeri o addirittura inutili la cui giustificazione sembra essere quella di dimostrare di riuscire a spendere i flussi di finanziamenti arrivati alla Capitale. Tuttavia in questa nebbia di opere e di dichiarazioni retoriche, del tipo: “Roma si trasforma” o “Modello Roma 2.0”, appare chiaro come l’opera di cementificazioni non si sia mai fermata e gli obiettivi tanto dichiarati di consumo di suolo zero e di riconversione ecologica sono sempre più lontani dall’orizzonte.

Che “Roma si trasforma” è, paradossalmente, vero: la città presenta ormai due voltiIl primo, la Grande Bellezza, di facciata, è quello di avvicinarsi sempre di più ai modelli globalizzati delle grandi città mondiali, celebri per il loro effimero successo prodotto da eventi e da architetture celebrative (del nulla?) realizzate da archistar. È la città del turismo, la città non stop che funziona giorno e notte ad uso dei turisti, degli alberghi di lusso, della trasformazione dei “bassi” (cantine, locali a piano terra) in B&B, della celebrazione di eventi i cui proventi vanno in larga parte nelle tasche dei grandi circuiti turistici ormai padroni della città. Il secondo volto, la Grande Bruttezza, è quello di una Capitale immiserita che ci appare non appena ci allontaniamo dal centro verso la grande periferia. Qui le contraddizioni diventano stridenti: emarginazione sociale, povertà diffusa, poteri criminali di governo del territorio, abbandono, incuria, degrado, incendi più o meno dolosi. Questo secondo volto della Capitale è una diretta conseguenza del primo: tanto più il centro ha “successo”, tanto più la periferia si impoverisce, con buona pace della teoria dello sgocciolamento tanto cara agli economisti liberisti.

A onor del vero non possiamo dare tutte le colpe al Sindaco Gualtieri: chi si assume la responsabilità del governo di questa città ne eredita anche tutte le disgrazie delle amministrazioni precedenti. Ma questa verità dovrebbe semmai rafforzare l’intenzione e la volontà di prefigurare, una volta per tutte, il disegno di uno sviluppo che non sia legato solo alle contingenze del presente. E qui bisogna ricordare che le promesse di un consumo di suolo zero e quello di una transizione ecologica dovrebbero essere al primo posto di questa amministrazione. Promesse fino ad ora smentite dai fatti, da quelle operazioni urbanistiche che ne negano la realizzazione: costruzione di nuove abitazioni (senza mai azzerare la domanda di una casa a chi non ce l’ha), abbattimento indiscriminato di alberi, privatizzazione del verde, asfaltizzazione di piazze e strade, costruzione di alberghi di lusso, nuovi porti ad uso crocieristico (Fiumicino), costruzione di inceneritori, parcheggi. Una ennesima prova è alle porte, rappresentata dalla revisione delle norme del Piano Regolatore Generale: sarebbe l’occasione giusta per indirizzare le politiche urbane verso obiettivi di conversione ecologica e opere di adattamento ai cambiamenti climatici e, contemporaneamente, perseguire obiettivi di riduzione e/o mantenimento dei flussi turistici intervenendo con misure adeguate sul settore degli affitti.

In buona sostanza: Roma continuerà a vivere della rendita dei gioielli della nonna o saprà elevarsi da questa storica stagnazione e, semmai, in quanti anni a venire? Pur essendo tragicamente ottimisti credo che persone della mia generazione non vedranno mai questa nuova alba.

Roma: i due volti della Capitale

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