Alcuni spunti di riflessione e critica dell’Avv. Marina Prosperi sul disegno di legge sicurezza, approvato alla Camera e ora in Senato.
Il 18 settembre 2024, è stato approvato dalla Camera il ddl 1660, recante norme in materia di sicurezza pubblica, in discussione dal mese di maggio 2024, presso le Commissioni parlamentari.
Il decreto 1660 segue a distanza di un anno il decreto Caivano, altro provvedimento emergenziale, questa volta in materia di disagio e criminalità minorile: entrambi i provvedimenti vanno letti unitamente, visto che condividono il medesimo fondamento politico/criminale, che non riguarda tanto il peggioramento delle condizioni di sicurezza reali, quanto il sentimento di insicurezza percepita.
Ma dai dati ISTAT oggi disponibili si dice esattamente l’opposto, vale a dire che l’insicurezza derivante dalla percezione della criminalità nel proprio quartiere di vita è in netta diminuzione negli ultimi 5 anni e, negli anni precedenti, ha avuto degli innalzamenti, poi rientrati, in corrispondenza all’approvazione di decreti sicurezza (il primo nel 2008) o in presenza di campagne mediatiche particolarmente pressanti (per es. nel 2015).
È oramai un dato politico con il quale fare i conti il fatto che le leggi sulla sicurezza non intervengono per rispondere a una domanda di sicurezza che viene dal basso, ma al contrario corrispondano e rispondano a campagne politico-mediatiche finalizzate, a volte, a ottenere visibilità o legittimazione politica, altre volte, a irrigidire il quadro delle libertà e delle garanzie democratiche.
Anche questo appare come un dato oramai di esperienza: ogni torsione autoritaria è accompagnata o anticipata da strette repressive presentate come necessarie per garantire la sicurezza.
Pertanto il focus politico, al netto delle considerazioni che verranno espresse, non appare altro dal ragionare sullo stato attuale della democrazia, nell’ottica di una stagione di rinnovate lotte per la casa, per il lavoro, per la pace, per i diritti di tutti e di tutte.
Sotto il profilo più tecnico giuridico, sia il decreto Caivano che il ddl 1660 si basano su un presupposto a mio avviso del tutto errato e cioè che la deterrenza carceraria possa costituire una leva per ridurre i reati: tale impostazione è totalmente sfornita di riscontri sulla base della ricerca criminologica dell’ultimo secolo, tra i quali gli studi penalistici di Giacomo Matteotti.
Pertanto, seguendo il solco di tale impostazione viene ampliata “la cornice edittale di fattispecie penali esistenti” e cioè le pene massime, nell’illusione che l’aumento della gravità della sanzione determini una riduzione dei reati.
In relazione a tali considerazioni si consideri l’aumento di pena nell’ambito di reati commessi da poveri, come l’accattonaggio (art. 13): il rilevante incremento della cornice edittale ( da uno a cinque anni, contro i precedenti tre anni) dovrebbe disincentivare la commissione di comportamenti che, tuttavia, dal punto di vista criminologico, presentano motivazioni che prescindono da una valutazione di costi-benefici, come la profonda vulnerabilità economico sociale, alla quale si risponde senza alcuna soluzione diversa dall’ingresso in carcere.
Inoltre vengono introdotte nuove fattispecie di reato che anticipano la tutela penale alla soglia del sospetto, come nel caso della detenzione di istruzioni per il compimento di atti di terrorismo (art. 1). Contro questo nuovo reato appare necessario operare una riflessione anche sugli emendamenti presentati dall’opposizione. Su questo articolo, a firma Serracchiani, viene richiesta l’applicazione di una causa di non punibilità “per motivi di studio” (una modifica che rivela scarsa conoscenza della materia, visto che nella struttura del reato, le cause di non punibilità, sono già previste).
In materia di lotta alla casa viene prevista la punibilità, allo stesso modo, di condotte profondamente diverse, come nel caso dell’occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio altrui, in cui si prevede che, fuori dai casi di concorso nel reato, soggiace alla stessa pena dell’occupante chiunque si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile, ovvero riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l’occupazione medesima (art. 8). E questo pone fine agli antisfratto nelle città solidali.
In materia di lotte nella logistica, si trasformano in illeciti penali quegli illeciti amministrativi già introdotti in precedenti leggi per limitare le forme del dissenso, come nel caso del blocco stradale o ferroviario attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo, con un aggravamento di pena se commesso da più persone riunite (art. 11).
Viene introdotto altresì, in maniera ufficiale, quanto già prassi delle Questure da tempo e cioè il ricorso sempre più frequente a misure di diritto amministrativo punitivo, che non è altro che la versione contemporanea di quel diritto di polizia ottocentesco che, presente anche nelle democrazie costituzionali (si pensi alla mancata revisione in Italia delle leggi di pubblica sicurezza d’impianto fascista, mai adeguate alla realtà democratica e costituzionale), recentemente ha trovato nuovo slancio con la legge n. 48 del 2017 e che nell’attuale testo viene ulteriormente esteso con l’attribuzione al Questore del potere di disporre il divieto di accesso alle aree di infrastrutture e pertinenze del trasporto pubblico anche a soggetti non solo condannati ma anche solo denunciati per reati contro la persona o il patrimonio (art. 10). La motivazione indicata nel testo è talmente chiara da non richiedere ulteriori commenti: “la disposizione che si intende introdurre avrebbe il pregio di consentire alle forze di polizia di intervenire immediatamente per «espellere» dalle suddette aree le persone destinatarie del divieto di accesso, svolgendo così una funzione di prevenzione di possibili reati che costoro potrebbero ivi commettere”. La libertà di circolazione finisce per essere limitata con provvedimento amministrativo per generiche ragioni di prevenzione.
In ordine al reato di resistenza, viene disposto un aggravamento di pena fino ad un terzo, nel caso in cui il pubblico ufficiale stia compiendo un atto delle proprie funzioni, e viene altresì intaccata la discrezionalità del giudice e dunque la giurisdizione stessa, laddove si vieta di operare il giudizio di prevalenza dell’aggravante con le circostanze attenuanti, con ciò intaccando quell’unico meccanismo di bilanciamento delle pene, nei reati contro le forze dell’ordine, in cui l’esercizio della difesa è, di fatto, solo uno step formale.
In relazione all’ordinamento penitenziario il ddl 1660 opera una serie di importanti modifiche, la prima nei confronti delle detenute madri, in quanto rende discrezionale e non più obbligatorio il rinvio della pena per donne incinte e madri di prole fino a un anno. È una norma di stampo evidentemente mediatico-espressivo, riguardando numeri estremamente ridotti, e che rischia di compromettere in modo irreversibile la crescita psichica e motoria del bambino costringendolo in spazi ridotti e caratterizzati da deprivazione sensoriale. La previsione che la detenzione avverrebbe negli ICAM non allevia la gravità della norma, ben sapendo che queste strutture dedicate alle madri con prole sono presenti solo in 5 istituti in tutta Italia e comunque spesso non sono altro che spazi dedicati all’interno della medesima struttura detentiva.
Con l’art. 18 si introduce un nuovo reato, quello di rivolta all’interno di un istituto penitenziario che tra le condotte punite inserisce anche le condotte di resistenza passiva all’esecuzione degli ordini impartiti, la cui unica funzione è quella di ribadire che il carcere costituisce una struttura in cui l’unico spazio del detenuto è quello dell’espiazione, senza alcuna prospettiva di reinserimento, in uno stato di totale sottomissione. Questa fattispecie viene inserita nei reati ostativi ex art. 4-bis (art. 25) e di fatto costituisce una linea di politica penitenziaria volta a smantellare l’eccezionalismo legato a reati gravi di mafia e terrorismo e, insieme, ad abbattere il sistema dei benefici come ponte tra carcere e territorio in un’ottica di risocializzazione.
Non mancano le norme dedicate ai cittadini di Paesi extraeuropei presenti sul territorio italiano senza un titolo di soggiorno valido con l’introduzione della condotta di resistenza passiva agli ordini impartiti, una facile forma di criminalizzazione di persone già private della libertà personale e della tutela dei propri diritti fondamentali. Laddove la previsione riguardi i Centri di trattenimento risulta persino concettualmente insostenibile, non trattandosi di luoghi detentivi neppure per via amministrativa.
Nella parte finale del ddl vengono introdotte una serie di norme rivolte a tutti gli agenti di pubblica sicurezza (più di 300 mila) ai quali viene riconosciuta l’autorizzazione a portare senza licenza armi private diverse da quelle di ordinanza (art. 20) tanto nello spazio pubblico quanto in ambiente domestico.
Questa è nelle linee di massima la lettura delle norme del nuovo ddl sulla sicurezza: norme anti writers, anticipazioni di punibilità al solo possesso di materiale cd terroristico, criminalizzazione delle lotte per la casa, della logistica, delle lotte, difficili, nelle carceri, aumenti di pena per i reati di resistenza nel corso di manifestazioni politiche e sindacali, nuove aggravanti e divieto di applicazione di attenuanti. Ed il richiamo alle armi con la liberalizzazione del loro uso ad oltre 300 mila persone, con buona pace degli studi sulla diffusione delle armi e sull’aumento dei reati ad esse collegati.
Diritto amministrativo punitivo, revoca delle cittadinanze e poteri ai Questori di disporre divieti anche senza alcuna condanna.
Difficile concludere se non con profezie infauste; difficile non operare il raffronto con le leggi fascistissime dell’infausto ventennio. Se non fosse che guardandoci intorno si sentono solo echi e retoriche di guerra, sarei portata a pensare che nel giro di qualche anno la Corte Costituzionale ne potrebbe fare carta straccia.
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