Ambiente differenziato

Chi ha calcolato l’impatto della legge sull’AD sulla giustizia ambientale?

Giuseppe De Marzo – Mosaico di pace

La legge 86 del duo Calderoli-Meloni ha come obiettivo la devoluzione di 23 materie di competenza dello Stato alle Regioni. Parliamo di materie fondamentali che servono per attuare gli obiettivi indicati dalla Costituzione, al fine di garantire i diritti su tutto il territorio nazionale. L’elenco delle materie che le 15 Regioni ordinarie possono richiedere allo Stato è davvero impressionante, investendo i principali aspetti delle nostre vite. Salute, istruzione, scuola, università, ricerca scientifica, lavoro, previdenza complementare, contratti, tutela dell’ambiente e del paesaggio, difesa del suolo, gestione delle acque, del servizio idrico, dei rifiuti, bonifiche, trasporti e distribuzione energia, infrastrutture, protezione civile, rischio sismico, commercio estero, agricoltura, pesca, sostegno alle imprese, ecc…

La domanda a cui le destre al governo si rifiutano di rispondere è questa: come potranno essere finanziate le politiche e i servizi pubblici nei territori con minore capacità fiscale se le Regioni con maggior gettito tratterranno sui rispettivi territori quote crescenti di compartecipazione? Perché questo è il punto: la devoluzione avviene senza risorse aggiuntive. L’impatto di un progetto del genere sarebbe catastrofico per tutti, non solo per il Sud, come confermano la Corte dei Conti, Banca d’Italia, Commissione Europea, CEI, Confindustria e altri.

Tra le materie che si vuole devolvere alle Regioni come dicevamo c’è anche la tutela di ambiente, territorio, acque ed ecosistemi. Tra tutte è quella che meno si presta ad una frammentazione in base a criteri amministrativi. Per la complessità della materia la protezione dei nostri ecosistemi per essere efficace deve essere gestita a livello nazionale, spesso anche internazionale. Ve lo immaginate tutelare un fiume che attraversa più Regioni, ecosistemi e nazioni solo a livello regionale? Oppure impedire l’estinzione di una specie per difendere la nostra biodiversità solo attraverso interventi regionali? E se le norme fossero in contraddizione tra le diverse Regioni, quale prevarrebbe? E perché? Con quale criterio? Immaginate poi per affrontare quella che è la più grave minaccia che abbiamo davanti: il collasso climatico. Pensate possibile che le Regioni siano capaci da sole di definire, introdurre e finanziare le politiche di adattamento e mitigazione necessarie? Nessuna Regione da sola potrà mai farlo perché non ha le competenze, le professionalità e le risorse per affrontare problemi complessi come la crisi ecologica, che richiede una dimensione nazionale e internazionale. E su clima, agricoltura, difesa della biodiversità, lotta all’inquinamento ci vogliono competenze, cooperazione, fondi e uniformità non solo nelle politiche ambientali ma anche in quelle industriali ed energetiche. Se la priorità della politica come più volte ricordato dal segretario generale delle NU Guterres è la lotta al riscaldamento della Terra, allora non possiamo continuare a separare e frammentare ciò che per natura è unito, interconnesso, relazionato, corrispondente, reciproco.

Pensate all’impatto catastrofico della legge 86 sul consumo di suolo. In queste ultime tre decadi la liberalizzazione dell’uso degli oneri di urbanizzazioni per finanziare in autonomia i servizi ai cittadini ha portato a un consumo di suolo insostenibile, a un’eccessiva cementificazione e alla distruzione di molti paesaggi. Tra le conseguenze, maggiori ondate di calore, siccità e peggioramento delle nostre condizioni di salute. Considerando le difficoltà dei nostri enti locali, con l’autonomia differenziata il consumo di suolo verrà addirittura incentivato. E non lasciamoci prendere in giro da chi ci dice che saranno i LEP a garantire omogeneità nelle misure: non sono stati ancora individuati e, qualora lo fossero, non assicureranno affatto nessuna uniformità delle misure. Visto che la tutela dell’ambiente è strettamente connessa con il diritto alla salute, ne deduciamo che la legge 86 peggiorerà quella di tutti e tutte noi.

Tutela ambientale “differenziata” vuol dire peggioramento delle condizioni ambientali, dei nostri territori e minore accesso alle risorse fondamentali per vivere una vita dignitosa. Senza un equo accesso alle risorse, allo spazio bioriproduttivo e una gestione sostenibile del territorio, ci impoveriamo tutti e tutte. Se vogliamo la giustizia sociale dobbiamo come precondizione garantire la giustizia ambientale. Altrimenti aumentano le disuguaglianze. Ed è quello che succede oggi. Non era così all’inizio del ‘900 prima della crisi ecologica, cominciata nel 1971 proprio quando abbiamo iniziato ad accumulare un deficit ecologico con la Terra. Succede se utilizziamo più risorse rispetto alle biocapacità che la Terra è in grado di autorigenerare e auto-organizzare ogni anno. Questo scarto tra quanto prendiamo e quanto ci viene messo a disposizione si chiama “overshoot day”. Negli ultimi 53 anni è sempre cresciuto. Lo scorso anno già il primo giugno avevamo finito le risorse che la Terra è in grado di garantire per l’anno in corso. Ma ci sono Paesi, come l’Italia, che addirittura le finiscono a maggio o anche prima. Il sistema economico capitalista e il modello culturale che promuove e alimenta sono totalmente insostenibili. Le conseguenze sono collasso climatico, disuguaglianze e guerre.

Il governo Meloni con l’autonomia differenziata sta esponendo 60 milioni di italiani a rischi enormi, condannando le generazioni che verranno a vite peggiori delle nostre.

Non possiamo essere sani in un pianeta malato. Non è una frase a effetto di Francesco pronunciata in un momento difficile, bensì un valore universale. Siamo parte della Terra e se non la tuteliamo inevitabilmente ci ammaliamo. Senza i servizi ecosistemici che la Terra ci offre gratuitamente non avremmo niente di tutto quello di cui abbiamo bisogno per vivere. Semplicemente non esisteremmo. Invece nella testa di chi pensa leggi come l’autonomia differenziata c’è la convinzione oscena di essere il centro della vita e che tutto il resto sia a nostra disposizione. Oggetti inermi da prelevare come in un frigorifero da cui prendi quello che ti pare senza fare nessuna considerazione. Abbiamo invece scoperto che le cose stanno diversamente. Che gli oggetti sono quasi sempre soggetti vivi, a cui dobbiamo tutela e dignità giuridica. Che c’è una connessione e una relazione profonda tra tutte le entità viventi. Che è male quando la vita si riduce, perché stiamo peggio e ci avviciniamo all’estinzione. È bene quando la comunità della vita aumenta, perché la “reciprocità dinamica tra soggetti diversi” ci cura e rafforza. Riconoscere diritti alla natura è fondamentale per garantire i nostri diritti. C’è una relazione inseparabile tra diritti umani e diritti della natura.

L’autonomia differenziata rappresenta la più grande minaccia per la sopravvivenza dei nostri ecosistemi e della nostra biodiversità, senza i quali ci estingueremmo. Non possiamo più continuare a frammentare la vita. Dobbiamo fare l’esatto opposto, perché sappiamo che la vita è una rete di vite interconnesse. Separarle come vorrebbe il governo Meloni è un errore esiziale. Per vivere ed evolvere si coopera e si scambia, altrimenti ci si estingue. In questo senso l’autonomia differenziata è culturalmente disgregante e mette a rischio la nostra democrazia.

Aver raccolto 1.291.488 firme ai banchetti dei comitati contro l’autonomia differenziata sotto il sole d’agosto ci fa ben sperare. È una bella notizia per la nostra democrazia. Adesso però viene la sfida più difficile. Se la Corte darà il via libera all’ammissibilità del quesito referendario, la prossima primavera saremo chiamati alle urne per abrogare la legge 86. Dobbiamo farci trovare pronti perché avremo bisogno della maggioranza dei cittadini e delle cittadine. Può essere una grande occasione per affrontare quelle priorità negate dalla politica, per ritrovarci sui principi fondanti della Repubblica, costruendo partecipazione e dibattito. È in gioco la democrazia.

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