Questa comunità proteggono il pianeta da chi lo spolpa. Perciò sono minacciate. E vanno tutelate.
L’Espresso – 17 gennaio 2025 Giuseppe De Marzo
Proteggere la terra dei popoli indigeni vuol dire proteggere noi stessi dal collasso climatico.
Il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre. Da più di due anni siamo oltre la soglia critica. Quella che ci eravamo autoimposti nel 2015 durante la conferenza sul clima di Parigi. Almeno da quando sono iniziate dal 1850 le misurazioni. E la febbre alta del Pianeta provoca conseguenze sempre più gravi, come l’aumento del vapore acqueo atmosferico globale che ha causato ondate di calore mai viste prime, decuplicando gli eventi metereologici estremi nell’ultima decade. Quello che sta succedendo a Los Angeles è, purtroppo, solo uno dei tanti drammatici esempi.
L’aumento della povertà, dei migranti ambientali ed il peggioramento complessivo delle condizioni di salute della popolazione mondiale sono le conseguenze dell’inazione della governance politica dinanzi alla crisi ecologica provocata dall’insostenibilità del modello capitalista. Nonostante l’evidenza dei fatti e le prospettive catastrofiche, la domanda di idrocarburi invece di diminuire è in crescita. Gli interessi delle grandi transnazionali guidano oggi più di ieri le principali decisioni politiche, rendendo sempre più intermittenti le nostre democrazie. Territori, foreste, fonti idriche, biodiversità, spazio bioriproduttivo sono gli obiettivi della conquista. Che avviene quasi sempre ignorando non solo le convenzioni ed i trattati internazionali, ma i diritti di governi, popoli e comunità locali: in particolar modo quelle indigene. Nonostante costituiscano solo il 6% dell’umanità, sono proprio le comunità native a proteggere il 28% della superficie della Terra. Nei territori in cui vivono grazie ad una cultura fondata sul riconoscimento ed il rispetto per tutte le forme di vita, biodiversità ed ecosistemi risultano molto meglio conservati rispetto ai nostri territori. Nella realtà delle cose, sono proprio le comunità native ad essere il principale ostacolo a chi sta trasformando il mondo in una miniera a cielo aperto inospitale da cui prendere ciò che si vuole, ignorando i limiti del pianeta, le sue capacità di autorigenerazione ed i diritti delle comunità di tutti i viventi, umani inclusi.
I popoli indigeni sono quelli che maggiormente soffrono gli effetti del collasso climatico ma nonostante una vera e propria politica di sterminio nei loro confronti, con coraggio continuano a resistere ed esistere grazie a principi e valori che mettono al centro il diritto della vita alla vita. Anche lo scorso anno migliaia di difensori della Terra sono stati ammazzati o sono stati vittime di persecuzioni e intimidazioni per il loro impegno. La denuncia arriva non solo dalle tante organizzazioni della società civile al loro fianco, ma dall’ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici. Le comunità indigene sono le più colpite proprio per la lotta a difesa della vita sul pianeta. Per questo sono i principali alleati contro il collasso climatico. Riconoscere e garantire i loro diritti sulle terre in cui vivono deve essere un obiettivo politico di tutti coloro che lottano per la giustizia sociale e climatica, non solo di chi ha a cuore i figli della Terra.
Come ricordato dal presidente del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, Alvaro Lario, durante la riunione mondiale del Foro dei popoli indigeni: “l’unica strada per ribaltare gli effetti del cambio climatico è unire gli sforzi di governi e istituzioni internazionali con i popoli indigeni, perché conoscono la terra, i mari, la vita vegetale e animale del pianeta con una profondità e intimità che nessun agronomo, progettista o esperto di investimenti avrà mai.” Facciamo Eco!