Questa doppia impossibilità corrode le relazioni sociali, creando soggettività egoistiche e narcisistiche.
27 febbraio 2025, Boaventura De Sousa Santos
Non tutto ciò che apparentemente non ha né inizio né fine è infinito. Ad esempio, un cerchio, che è uno spazio-tempo confinato. È proprio in questo circolo che vivono le società contemporanee, a causa della globalizzazione del capitalismo e della rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Pensare in circolo implica l’impossibilità di pensare a un futuro diverso da quello consentito dal circolo: il possibile autorizzato. Il futuro possibile è una variante di ciò che già esiste o che rientra nel cerchio. Poiché le variazioni sono infinite, il futuro impossibile può essere pensato come non possibile solo entro i limiti del cerchio. L’intelligenza artificiale è oggi l’impossibilità più stimolante del mondo circolare. La sua conquista è sempre vicina e sempre incompleta.
Il circolo coloniale e il circolo capitalista
L’impossibilità di pensare e agire al di fuori del cerchio diventa un problema sociale esistenziale quando per ampi strati della popolazione vivere dignitosamente al suo interno diventa impossibile. Nell’era eurocentrica moderna, il primo cerchio era il colonialismo. Data la superiorità del colonizzatore, i popoli colonizzati furono i primi a sperimentare una doppia impossibilità: l’impossibilità di vivere dignitosamente sotto il dominio coloniale e l’impossibilità di pensare alla propria liberazione. Contrariamente a quanto molti pensano, questo circolo vizioso e questa doppia impossibilità persistono ancora oggi, anche dopo l’indipendenza politica delle colonie europee.
Coloro che vivono questa realtà più intensamente sono quelli che oggi chiamiamo il Sud del mondo. Data la stretta relazione tra colonialismo e capitalismo, la cerchia coloniale divenne più violenta e limitata a partire dalla fine del XIX secolo, quando il capitalismo visse la sua ascesa, prima in Europa e poi nel Nord America. Fu allora che nelle società colonizzatrici cominciò a formarsi il circolo capitalista, lo spazio-tempo ristretto della riproduzione del capitalismo. E anche qui, all’impossibilità di pensare al di fuori del cerchio si accompagnava la difficoltà esistenziale di vivere dignitosamente al suo interno per ampie fasce della popolazione: classi lavoratrici, operai, contadini, immigrati, gruppi sociali razzializzati o sessualizzati.
L’era eurocentrica moderna è quindi composta da due cerchi sovrapposti, il cerchio coloniale e il cerchio capitalista, ed entrambi convergono nel rendere impossibile una vita dignitosa per ampi settori della popolazione, rendendo al contempo impossibile pensare o agire al di fuori del mondo circolare. Questa doppia circolarità si è evoluta nel corso degli anni, ha subito molte convulsioni, ci sono stati momenti in cui sembrava crollare, per poi ricostituirsi nei momenti successivi. Ciò che caratterizza la nostra epoca è che i due cerchi sono contemporaneamente più ampi e più intensi. Più ampi perché abbracciano più ambiti della vita sociale e più intensi perché non è mai stato così impossibile per ampi strati della popolazione vivere dignitosamente al loro interno o immaginare una vita al di là di essi. In linea di massima la storia è la seguente.
Rompere i cerchi: Rivoluzione e guerra
Solo eliminando i limiti del tempo e dello spazio del cerchio è possibile pensare ad altri mondi possibili più dignitosi e ad altri tipi di relazioni interpersonali più umane al di là del cerchio. Deconfinare significa rompere e correre il rischio della liberazione o del fallimento. In passato, questa liberazione avveniva in due modi: attraverso la rivoluzione e la guerra. Due percorsi molto diversi, quasi sempre collegati, ma non sempre nella stessa direzione: la rivoluzione per porre fine alla guerra; guerra per rendere possibile la rivoluzione; guerra per porre fine alla rivoluzione. La liberazione dall’ambito coloniale iniziò nel XVII secolo con la fuga degli schiavi, i quilombos in Brasile, e continuò quasi fino alla fine del XX secolo con le guerre di liberazione per l’indipendenza politica delle colonie europee (le ultime furono le colonie portoghesi, 1974-76). E non dobbiamo dimenticare i casi ancora pendenti, in particolare la lotta del popolo palestinese e del popolo saharawi.
Nel caso del circolo coloniale, spesso era la guerra a rendere possibile la rivoluzione e, con essa, ciò che prima era impossibile perché estraneo al circolo del pensiero e dell’azione autorizzati. Basti pensare alla guerra d’indipendenza americana, all’Algeria, al Vietnam, alle guerre di liberazione delle colonie portoghesi. Nella storia di Haiti o di Cuba, la guerra aveva lo scopo di porre fine alla rivoluzione e la sovrapposizione tra le due cose continua ancora oggi. Quando non c’erano né guerre né rivoluzioni, come nel caso del Brasile, la rottura del circolo coloniale fu molto più limitata, cosa che è evidente ancora oggi.
Nel caso dell’indipendenza politica delle colonie spagnole in America Latina all’inizio del XIX secolo, ci fu una guerra, ma non fu combattuta dai popoli nativi, bensì dai discendenti dei colonizzatori (come negli Stati Uniti), quindi anche la rottura del circolo coloniale fu molto limitata. In generale, la liberazione dal circolo coloniale fu molto parziale, poiché l’indipendenza politica non fu accompagnata da quella economica, perché il circolo capitalista lo impedì. Le classi che dominavano il circolo capitalista avevano sempre presente che non avrebbero potuto sopravvivere senza il circolo coloniale. Fino a oggi.
Nel caso delle società colonizzatrici, oggi note come Nord globale, la costruzione del circolo capitalista fu molto più contraddittoria, perché l’integrazione del mondo delle relazioni non capitaliste nel circolo capitalista incontrò una resistenza organizzata da parte di grandi masse della popolazione. Ma la dialettica tra rivoluzione e guerra era presente. Basti pensare alla Rivoluzione russa, che scoppiò nel contesto della Prima guerra mondiale e in parte per porvi fine, e alla Rivoluzione cinese, che ebbe luogo nel contesto della Seconda guerra mondiale. Nella prima metà del XX secolo, il circolo capitalista, pur dominando a livello mondiale, non si è chiuso.
Il fatto è che l’impossibilità di vivere dignitosamente nella società capitalista per l’intera popolazione sfruttata e oppressa è stata in parte neutralizzata da una possibilità realistica di pensare e agire al di fuori della cerchia capitalista. Questa possibilità era stata creata dalla Rivoluzione russa, cioè la possibilità di una società socialista/comunista. La forza di questa possibilità è uno dei fatti più notevoli del ventesimo secolo, tanto più che è sopravvissuta ai crimini di Stalin e perfino all’alternativa che la socialdemocrazia sembrava offrire dopo il 1945.
Con la rivolta del maggio 1968 questa possibilità perse gran parte del suo fascino e crollò con la fine dell’Unione Sovietica (1989-1991). Il circolo capitalista era definitivamente chiuso; pensare e agire al di fuori di esso divenne praticamente impossibile. La crisi della sinistra nasce da questa impossibilità.
Fare?
In uno straordinario testo del 1917, Lenin scrive di rivoluzione e guerra e suggerisce che o la rivoluzione ferma la guerra o la guerra sarà inevitabile e renderà possibile la rivoluzione, anche se dopo molta distruzione. A quanto pare non siamo nel 1917. Siamo nel 2025 e ci troviamo di fronte a due impossibilità.
Da un lato, sta diventando sempre più chiaro che è impossibile vivere una vita dignitosa all’interno del circolo capitalista, un’impossibilità che diventa ogni giorno più grave con l’estrema concentrazione della ricchezza, il collasso ecologico e la conseguente calamità dei rifugiati ambientali, la crescita dell’estrema destra che cerca di consolidare sia il circolo capitalista sia quello coloniale (la questione dell’immigrazione e della xenofobia, il saccheggio delle risorse naturali nel Sud del mondo, e ora anche in Ucraina) e la complementarietà tra i due; e infine, la minaccia stessa di una guerra al di fuori di qualsiasi dialettica con la rivoluzione: una guerra inter-imperiale, controrivoluzionaria, senza alcun pericolo di rivoluzione imminente. La parola rivoluzione è scomparsa dalla mappa politica (così come socialismo e comunismo) o è stata appropriata dall’estrema destra.
D’altro canto, è altrettanto chiaro che è impossibile pensare o agire al di fuori di questi due ambiti. Per due motivi principali. Da un lato, ogni tentativo di contrastare questa impossibilità viene rapidamente neutralizzato, messo a tacere e screditato. D’altro canto, il circolo coloniale-capitalista è diventato così profondamente radicato nel nostro stile di vita, per quanto indegno possa essere, e nella nostra soggettività, per quanto degradata possa essere, che pensare o agire al di fuori di questo circolo significa pensare al di fuori di noi stessi, contro noi stessi. Oltre il cerchio è concepibile solo come extraterrestre. Da qui il ritorno della cosmologia e della religione.
Questa doppia impossibilità sta corrodendo le relazioni sociali, creando soggettività egoistiche e narcisistiche che praticano il cinismo, l’opportunismo, l’odio e il tradimento come forme di sopravvivenza personale in una guerra iniziata molto prima di essere dichiarata. Un nuovo cannibalismo emerge come condizione di sopravvivenza nel doppio circolo del capitalismo e del colonialismo. Questa condizione trasforma la paura in uno stile di vita e la speranza in follia.
Sarà possibile vivere a lungo nella società senza coltivare possibilità realistiche che vadano oltre queste due impossibilità? La risposta è no.
Nel 2025, non nel 1917, o ci sarà un cambiamento radicale nei nostri modi di pensare e di vivere che impedirà la guerra, oppure ci sarà una guerra più distruttiva delle precedenti, nel qual caso gli eventuali sopravvissuti potranno beneficiare di possibilità che ora ci sembrano precluse. Non credo che il pensiero eurocentrico, che ha creato i due grandi circoli che oggi ci soffocano e li ha criticati, lasciandoci disarmati quando hanno fallito, abbia abbastanza vitalità per creare nuove possibilità con meno paura e più speranza.
Esistono molti altri sistemi di conoscenza, pensiero, stili di vita e sensibilità disponibili nel mondo. Vivono nascosti, ai margini, negli interstizi dei circoli capitalisti e coloniali, aspettando il loro momento. Il suo tempo sarà il nostro tempo. Prima o dopo una guerra devastante? Questo è il problema.
https://www.meer.com/es/89150-lo-posible-entre-dos-imposibilidades