Il panorama delle disuguaglianze economiche e sociali in Italia all’epoca del COVID-19
Anche prima dell’abbattersi della pandemia sul nostro paese, le disuguaglianze in Italia erano particolarmente radicate, contrassegnate da ampi squilibri nella distribuzione della ricchezza nazionale aumentati negli ultimi vent’anni. A metà 2019 – secondo gli ultimi dati disponibili – il top-10% (in termini patrimoniali) della popolazione italiana possedeva oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Allo scoppio dell’emergenza sanitaria il grado di resilienza economica delle famiglie italiane era estremamente diversificato, con poco più del 40% degli italiani in condizioni di povertà finanziaria, ovvero senza risparmi accumulati sufficienti per vivere, in assenza di reddito o altre entrate, sopra la soglia di povertà relativa per oltre tre mesi.
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Circa 10 milioni di nostri concittadini più poveri, con un valore medio del risparmio non superiore a 400 euro, non avevano nessun cuscinetto finanziario per resistere autonomamente allo shock pandemico. Shock che ha da subito impattato gravemente le condizioni reddituali delle famiglie italiane. Lo confermano due indagini qualitative della Banca d’Italia condotte nel corso del 2020: in seguito al primo lockdown metà delle famiglie italiane dichiarava di aver subito una contrazione del proprio reddito ed il 15% di aver visto dimezzarsi le proprie entrate, con solo il 20% dei lavoratori autonomi che non aveva subito contraccolpi. A fine estate nel 20% delle famiglie con figli minori di 14 anni uno o tutti e due i genitori avevano ridotto l’orario lavorativo o rinunciato al lavoro per accudirli. Mentre il 30% dichiarava di non disporre di risorse sufficienti per far fronte a spese essenziali nemmeno per un mese, in assenza di altre entrate. Per qualcuno la crisi non è mai arrivata: dall’inizio della pandemia la ricchezza di 36 miliardari della Lista Forbes è aumentata di oltre 45,7 miliardi di euro, pari a 7.500 euro per ognuno dei 6 milioni più poveri dei nostri connazionali. Una cifra che equivale a più del doppio del costo sostenuto dallo Stato per il personale sanitario dipendente del SSN nei primi nove mesi dell’anno.
In questo contesto, le misure di sostegno pubblico al reddito, al lavoro e alle famiglie emanate nel corso del 2020 dal Governo hanno contribuito ad attenuare gli impatti della crisi e a ridurre moderatamente i divari retributivi e reddituali. Prime stime rilevano che le misure di emergenza abbiano determinato una riduzione di 1,7% della disuguaglianza dei redditi da lavoro e di 1,1% di quella dei redditi disponibili equivalenti delle famiglie italiane, oltre ad attenuare la crescita dell’incidenza della povertà.
Le stime sul mancato acuirsi delle già elevate disuguaglianze sul mercato del lavoro italiano, possono in prima battuta sembrare alquanto rassicuranti. Un ottimismo che appare poco giustificato, se si considera che la moderata riduzione delle disparità reddituali sia stata accompagnata da un calo dei redditi per una quota ampia della popolazione meno abbiente. Una riduzione non ascrivibile a interventi di carattere strutturale di contrasto alle disuguaglianze, ma esclusivamente al temporaneo intervento compensativo, con carattere perequativo, messo in campo da parte del Governo sin dalle prime fasi della pandemia. Il messaggio di fondo che se ne trae è semmai di monito alle istituzioni, circa gli indesiderabili impatti su povertà e disuguaglianze che possono provocare l’interruzione o l’attenuazione delle misure di tutela e supporto pubblico, prima di un pieno recupero dell’economia.
Con la pandemia crescono le diseguaglianze sociali e territoriali
La salute, l’accesso a un’istruzione di qualità, la disponibilità di una abitazione adeguata, le incertezze connesse alle condizioni del lavoro, il grado di riconoscimento da parte della collettività del proprio ruolo e delle proprie aspirazioni costituiscono determinanti imprescindibili di una vita dignitosa e libera da disagio per ciascuno. La pandemia ha potentemente rivelato, esacerbandoli, gli ampi divari preesistenti lungo tali dimensioni fondamentali per descrivere il benessere di una società.
Vecchie vulnerabilità si sono acuite e sommate a nuove fragilità, con conseguenze allarmanti per il benessere dei cittadini, l’inclusione e la coesione sociale. Questo il quadro che emerge da un’indagine qualitativa condotta tra novembre e dicembre 2020 tra gli operatori dei Community Center animati da Oxfam, dalla Diaconia Valdese e da altri partner a Torino, Milano, Bologna, Empoli, Prato, Firenze, Campi Bisenzio, Arezzo, Napoli e Catania. Luoghi di ascolto e supporto per tutti i cittadini che si trovano in una situazione di difficoltà.
“Gli operatori dei nostri Community Center hanno rilevato un forte peggioramento delle condizioni economiche e del profilo occupazionale dei propri utenti. Lavoro assente, perduto o congelato, vecchie povertà e nuovo impoverimento, l’acuirsi del disagio abitativo, le vulnerabilità educative e formative, confermano l’istantanea di un Paese in forte sofferenza. – ha aggiunto Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia – Durante il lockdown e oltre, molte persone sono state sempre più escluse, di fatto, dai servizi di bassa soglia e dall’accesso ai trasferimenti emergenziali, a causa di una pubblica amministrazione spesso impotente nel far fronte alla mole crescente dei bisogni e a un’informazione carente o inadeguata. Il basso grado di scolarizzazione e alfabetizzazione digitale dei cittadini più fragili ha contribuito a scoraggiarli dall’affrontare le complessità procedurali. A questo si aggiunge una scarsa consapevolezza dei propri diritti in materia di lavoro e protezione sociale”.
Grazie al sostegno di Rai per il sociale, Oxfam porterà avanti per tutto il 2021 una campagna di sensibilizzazione e informazione sui temi delle disuguaglianze in Italia e dell’esclusione sociale. Un lavoro che Oxfam realizza concretamente intervenendo attraverso i Community Center nelle periferie di 10 città italiane.
Un’agenda trasformativa per la lotta alla disuguaglianza in Italia
L’azione deiCommunity Center si muove di fatto nel solco del welfare comunitario, che assume il principio di sussidiarietà a fondamento dell’agire sociale e ripartisce tra una pluralità di soggetti singoli e collettivi compiti e responsabilità specifiche orientate alla produzione e al mantenimento del benessere per le comunità locali. La natura varia, complessa e territorialmente differenziata dei crescenti rischi sociali (come la precarietà, l’instabilità reddituale, l’impoverimento temporaneo, la non autosufficienza, per citarne solo alcuni) risulta infatti colta in modo più efficace da attori territoriali, capaci di leggere e rispondere al meglio ai bisogni differenziati delle persone, favorendone l’inclusione e la coesione sociale. Le istituzioni nazionali e locali devono facilitare un simile approccio, rafforzando la propria azione di coordinamento e propulsiva di progetti proposti dalla cittadinanza attiva e dal terzo settore.
Per affrontare le vulnerabilità e i divari crescenti a seguito della pandemia è necessario adottare politiche che possano incidere sulle cause strutturali delle disuguaglianze economiche e sociali. Gli ambiti di azione sono molteplici.
- Ridare potere al lavoro. Al netto delle misure compensative a carico del welfare state, sono necessari interventi predistributivi, che limitino la svalutazione del fattore lavoro e escludano il ricorso a forme contrattuali atipiche e poco remunerate, anche attraverso l’innalzamento dei salari minimi. Va inoltre rafforzata la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
- Rafforzare la portata redistributiva del sistema nazionale di imposte e trasferimenti. Sul fronte delle politiche impositive, il carico fiscale va spostato dal lavoro e dai consumi su ricchezza e redditi da capitale. L’annunciata riforma della tassazione dei redditi delle persone fisiche deve prevedere un ampliamento della base imponibile e il potenziamento della progressività.
- Investire in un’istruzione pubblica di qualità e nel contrasto alla povertà educativa. Va incrementata la spesa pubblica per l’istruzione, per cui l’Italia è tristemente fanalino di coda nel confronto internazionale. Proposte strutturali per contrastare la povertà educativa dovrebbero inoltre contemplare: il miglioramento delle strutture scolastiche e una migliore gestione del tempo scuola, un incentivo all’innovazione didattica e pedagogica, il rafforzamento dell’istruzione professionale, la creazione di zone di educazione prioritaria tra le aree a maggior incidenza di abbandono precoce, il potenziamento delle comunità educanti (reti di istituti scolastici e altre realtà educative/formative territoriali extrascolastiche).
- Favorire la mobilità intergenerazionale. Il grado di istruzione, le condizioni economiche, lo status sociale e occupazionale mostrano in Italia una forte persistenza nel passaggio generazionale. Per favorire maggiore uguaglianza di opportunità, va considerata, oltre al miglioramento delle condizioni di accesso all’istruzione di qualità, l’opportunità di una dote universale per i giovani e il rafforzamento del grado di concorrenza nei settori meno competitivi in cui il premio di background sociale a parità di istruzione è più persistente.