26 aprile 2021 – Forum per il diritto alla salute
Col Documento di Economia e Finanza per il 2021, approvato il 22.4 dai due rami del Parlamento, il governo e la sua maggioranza hanno esplicitato quanto segue:
Nel triennio 2022-2024, la spesa sanitaria è prevista decrescere ad un tasso medio annuo dello 0,7 per cento; nel medesimo arco temporale il PIL nominale crescerebbe in media del 4,2 per cento. Conseguentemente, il rapporto fra la spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine dell’arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,3 per cento.
L’altalenante andamento della spesa è dovuto al venir meno nel 2022 di buona parte dei costi programmati per contrastare l’emergenza sanitaria nonché agli effetti indotti dal rinnovo dei contratti e delle convenzioni del personale del SSN per il triennio 2019 2021, imputati al 2022 per i dipendenti non dirigenti e al 2023 per la restante parte dei lavoratori.
La previsione riflette anche:
- la dinamica dei diversi aggregati di spesa coerente con gli andamenti medi registrati negli ultimi anni;
- gli interventi di contenimento della spesa sanitaria già programmati a legislazione vigente.
Due previsioni: “la spesa sanitaria è prevista decrescere” e il “venir meno nel 2022 di buona parte dei costi programmati per contrastare l’emergenza sanitaria”, in palese contrasto con le evidenze epidemiologiche, gli allarmi circa le immanenti varianti Covid-19 e i fatti di politica sanitaria registrati nel 2020 e nel 2021. Nel 2020 e nei primi mesi del 2021, infatti, a fronte del dilagare di Covid -19 e della drammatica inadeguatezza delle articolazioni regionali del SSN in termini di personale, strutture organizzative, dotazioni strumentali e logistiche, sia nella medicina territoriale che in quella ospedaliera, i governi sono stati costretti a incrementare con vari provvedimenti la spesa nel 2020 dai 116,4 mld inizialmente previsti, a 123,5, con una maggiorazione di +7,3 mld sul programmato pari a +6,1%, e nel 2021 dai programmati 117.939 dal DEF 2020 ai 127.138 mld stabiliti dal DEF 2021, con un incremento di +9,2 mld sul programmato, pari a +7,8%. Tali provvedimenti e tali incrementi sono stati necessariamente contingenti e limitati nel tempo: il personale assunto in gran parte precario, le strutture logistiche prefabbricate o esterne al SSN, le organizzazioni vaccinali e le USCA temporanee.
La spesa per il personale, in particolare, è stata sì aumentata dal 29,8 % del totale nel 2019 al 31% nel 2020, ma è stata finalizzata in prevalenza all’acquisizione di lavoro precario di varie tipologie, temporaneo e sottopagato, non al necessario aumento, stabile e significativo, di personale dipendente a tempo indeterminato, la componente più importante determinante la qualità e la efficienza dei servizi sanitari. Al ricorso al lavoro precario, piaga della sanità pubblica come di quella privata, non si potrà certo porre rimedio con la prevista riduzione al 30,6% della spesa per il personale nel 2021 e dell’incidenza sul PIL della spesa sanitaria pubblica dal 2022 al 2024 dello 0,7%.
Con che senso di responsabilità e con che coerenza rispetto agli impegni di potenziamento del SSN che ripetutamente assumono Draghi, il suo ministro della Salute e la maggioranza, col DEF 2021 si è programmato di non consolidare il potenziamento organico e strutturale del SSN pubblico prevedendo una riduzione della spesa sanitaria pubblica sul PIL nel 2022 del – 2,8% rispetto al 2021 ?
E che dire del fatto che il Patto per la Salute 2014-2016 e la legge 190/2014 avevano previsto per il 2019 un finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale di 125.340 mld, due in più rispetto alla spesa di 123,622 mld prevista per il 2022 dal governo Draghi?
Come si vede, chi nutriva aspettative che i problemi messi in luce dalla pandemia avrebbero innescato un circolo virtuoso di recupero di risorse per la sanità e di revisione della loro distribuzione deve amaramente ricredersi: la tendenza che il governo prevede per la spesa corrente negli anni successivi, indicativa dell’assetto strutturale dei servizi, è di una stagnazione seguita da una decrescita che porterebbe la spesa sanitaria in termini reali, cioè in rapporto al PIL, nel 2024 al livello di quindici anni fa.
Il DEF 2021 costituisce una totale smentita nei fatti delle ripetute dichiarazioni di considerare la spesa sanitaria pubblica non più un costo ma un investimento, non solo per la tutela del diritto costituzionale alla salute, ma anche per la crescita economica del paese, in quanto fattore espansivo della domanda, “debito buono” si direbbe nella terminologia recentemente usata da Draghi.
Il confronto con le politiche di finanziamento della sanità dei paesi UE più economicamente dotati, al netto delle differenze tra modelli assicurativi (Bismarck) delle varie tipologie e modelli pubblicisti (Beveridge), è impietoso: gli ultimi dati, prima della pandemia dicevano che la spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL era il 9,9 % in Germania, 9,4% in Francia, 9,3% in Svezia, 8,2% in Olanda, 8% in Gran Bretagna. Il governo e la maggioranza Draghi vogliono portarci nel 2024 al 6,3%.
Non ci sono giustificazioni, specie se si prevede un incremento del PIL di oltre 4 punti percentuali in media dal 2022 al 2024.
Il DEF 2021 non riporta dati sulla possibile evoluzione della spesa privata diretta (out of pocket) a fronte delle difficoltà di accesso ai servizi pubblici in costanza di pressione da Covid 19 e di mancanza di interventi di potenziamento strutturale sul SSN, ma è facile ipotizzare che aumenti.
In questo caso il divario coi paesi europei è di segno opposto. In Italia la spesa diretta dei cittadini per la sanità fu nel 2019 il 2% del PIL, mentre nei paesi che abbiamo citato prima era stata 1,4% in Germania, 1% in Francia, 1,5% in Svezia, 1,1% in Olanda, 1,7% in Gran Bretagna. Meno soldi pubblici, più soldi dalle tasche dei cittadini.
E ancora va rilevato che in alcune regioni, Lombardia, Lazio e quasi tutto il Sud, circa il 50% della spesa pubblica è destinata al privato accreditato, di matrice cattolica o dei grandi gruppi laici privati ormai internazionalizzati e finanziarizzati, a maggior costo ed a minor rendimento prestazionale rispetto all’impiego in strutture del SSN pubblico a cui quindi in certo qual modo, sono sottratti, compresa la medicina di base (medici, pediatri, specialisti ambulatoriali).
La scelta di politica sanitaria del governo e della maggioranza operata col DEF 2021, in sintonia con tutti i governi degli ultimi dieci anni, salvo le imprescindibili variazioni emergenziali da Covid-19, non potrà certo essere corretta dalle risorse previste dal PNRR per la missione Salute.
Tali risorse nella versione di Draghi, ammontano a circa 20 mld, inferiori di circa 600 mln rispetto a quelle già insufficienti previste dal precedente governo Conte, che peraltro generò un vasto coro di protesta da parte delle OO.SS. confederali e di numerose associazioni, assai distanti dalla stima di circa 65 mld formulata nel 2020 dallo stesso Ministero della Salute.
Da ultimo, ma non meno preoccupante e di gravità inaudita, bisogna rilevare che il Documento di Economia e Finanza ha confermato tra i disegni di legge collegati alla legge di bilancio il DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata ex comma 3 art.116 Cost.”, riproponendo al Parlamento di riservare un percorso legislativo privilegiato a una proposta di legge che ratifichi l’autonomia differenziata, col suo carico di diseguaglianze e privatizzazioni agite in base a normative autonomamente assunte dalle 15 regioni a statuto ordinario.
In conclusione, il Forum per il Diritto alla Salute fa appello all’opinione pubblica, ai media, alle organizzazioni sindacali confederali e non, alle componenti più sensibili della maggioranza che in Parlamento sostengono il governo Draghi, all’associazionismo civico e alle forze politiche di sinistra all’opposizione fuori dal Parlamento affinché venga fermato il degrado del Servizio Sanitario Nazionale pubblico e bocciata qualunque possibilità di riaprire la strada all’autonomia differenziata, in sanità e non solo.