La Turchia si ritira dalla Convenzione di Istanbul

Con non poche proteste, la Turchia lascia la Convenzione di Istanbul, il trattato volto a prevenire e combattere la violenza sulle donne. Era stato il primo Paese a firmarla 10 anni fa, prima dell’arrivo di Erdogan.

Di Naomi Roberto – Othernews

Ce lo aspettavamo.

Da quando ha vinto le elezioni cambiando l’assetto istituzionale del Paese, Recep Tayyip Erdogan ha più volte espresso il desiderio di far uscire la Turchia dalla Convezione di Istanbul, il trattato volto a prevenire la violenza sulle donne.

La piega del suo governo, dai caratteri sempre più autoritari, ha man mano aumentato la censura, negando diversi diritti e libertà ai suoi cittadini (tra cui quelli di stampa e di espressione) e frenando i possibili oppositori.

Già ad Agosto si erano accese le discussioni sulla violenza di genere dopo che, proprio il Presidente, aveva posto sotto il riflettori il possibile ritiro dalla Convenzione. A “non starci” però era stata proprio la figlia, Sumeyye Erdogan, discostatasi dalle volontà del padre e del fratello. Questi ultimi, infatti, ritenevano che nel Trattato fossero presenti minacce alla famiglia tradizionale turca a vantaggio di orientamenti omosessuali e Lgbt.

Seguire la Polonia probabilmente era l’obiettivo. Lo scorso autunno, infatti, il Presidente della Polonia, Andrzej Duda, aveva utilizzato le stesse parole commentando la Convenzione: la legge polacca protegge sufficientemente le vittime di violenza. Questa settimana, inoltre, un’organizzazione religiosa fondamentalista, Institute for Legal Culture Ordo Iuris, ha introdotto un’iniziativa legislativa per porre fine alla Convenzione. La mossa successiva sarà quella di rendere totalmente illegale l’aborto tramite una legge che mira a “proteggere i bambini” nonché i futuri nascituri. La Polonia, ricordiamo, ha una delle legislazioni più restrittive d’Europa circa questa tematica.

Un altro modo per offuscare la democrazia? Ce lo aspettavamo.

Perché la Turchia è uscita dalla Convenzione di Istanbul?

Il 20 marzo, Erdogan ha ufficializzato il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul provocando non poche proteste in tutto il Paese. Secondo quanto riporta il Corriere, le autorità turche ritengono infatti che le leggi nazionali siano sufficienti a garantire la protezione del genere femminile. E non solo.

Un’altra delle critiche di Erdogan e dei suoi sostenitori è quella che riguarda la violenza sugli uomini: anche le donne, insomma, possono essere violente contro gli uomini e, per tale ragione, la Convenzione potrebbe risultare in questo senso istigatrice. Per concludere, il Trattato sarebbe una minaccia per l’unità familiare tradizionale incoraggiando il divorzio.

Che sia forse un modo per accaparrarsi il consenso dei più conservatori?

Non sarebbe di certo il primo tentativo. Ricordiamo inoltre che a Gennaio dello scorso anno, il leader turco aveva tentato (con scarsi risultati) di reintrodurre il matrimonio riparatore. La norma, abolita nel 2005, era stata pensata per porre rimedio circa matrimoni infantili e casi di stupro.

Forse un’idea di società un po’ patriarcale a cui aspirare.

Cos’è la Convenzione di Istanbul

Firmata nel 2011, la Convenzione di Istanbul è un trattato promosso dal Consiglio d’Europa volto a prevenire e combattere la violenza sulle donne.

La Convenzione entra in vigore ufficialmente nel 2014 e sancisce pari diritti tra uomini e donne. Ad oggi, questo documento rappresenta uno tra i primi strumenti internazionali volti a creare un quadro normativo concreto e giuridicamente vincolante per la tutela delle donne contro ogni forma di maltrattamento e discriminazione.  I reati previsti sono:

  • violenza psicologica (art. 33)
  • atti persecutori e/o stalking (art. 34)
  • violenza fisica (art. 35)
  • violenza sessuale e stupro (art. 36)
  • matrimonio forzato (art. 37)
  • mutilazioni genitali (art. 38)
  • aborto o sterilizzazione forzata (art. 39)
  • molestie sessuali (art. 40)

Questo Trattato viene considerato un importantissimo traguardo a livello europeo: un elemento di coscienza, protezione e sviluppo sociale nonché di integrazione. La Convenzione riconosce inoltre la violenza di genere come una violazione dei diritti umani.

Paradossalmente, il trattato ha preso proprio il nome dall’importante città dellaTurchia che, nel 2011, fu tra i Paesi firmatari della Convenzione, prima dell’arrivo di Erdogan.

Turchia, Convenzione di Istanbul: partono le proteste

Dopo la decisione del Presidente Erdogan, migliaia di donne si sono radunate ad Istanbul per protestare, altre manifestazioni più piccole si sono poi svolte anche ad Ankara e Smirne. In molte hanno chiesto le dimissioni del Presidente mostrando nei cartelloni i volti delle donne vittime di violenze e gridando slogan pro-Lgbt. Tra queste, è importante citare le attiviste di Noi fermeremo il femminicidio, riconoscibili per via delle bandiere viole esposte durante le manifestazioni, secondo cui solo nell’ultimo anno, in Turchia, ci sarebbero stati almeno 300 femminicidi.

Le associazioni femministe hanno inoltre annunciato l’organizzazione di nuovi sit-in, cortei, nonché una protesta quotidiana prevista alle ore 21:00 sui balconi di casa battendo pentole e coperchi.

La solidarietà delle attiviste curde

La decisione presa da Erdogan viene condannata anche dalle attiviste curde, in particolare dal Movimento delle donne libere (TJA). Queste donne non hanno lasciato piazze e strade per mostrare la loro solidarietà a tutte le donne turche. “EM XWE DIPAREZIN” (Noi ci difendiamo) è il loro slogan. “La storia delle donne e dei popoli oppressi, che resistono con la forza, con l’intelligenza e le lotte, insegna che essi non permetteranno mai di mantenere la schiavitù che la mentalità dominante vorrebbe ancora oggi”.

Anche a Roma la loro presenza non è tardata ad arrivare. Proprio il 25 marzo infatti hanno manifestato stendendosi sull’asfalto dentro sagome disegnate con il gesso. Un modo, questo, per denunciare tutti i delitti, diversi tra loro ma con uno stesso fondo comune: la violenza.

 “Non passa giorno che in Turchia una donna non venga uccisa” afferma in un’intervista con l’agenzia Dire Silan Ekinci, dell’Ufficio dei curdi in Italia (Uiki Onlis), nel pomeriggio in piazza Indipendenza insieme al Movimento TJA. “Ecco perché siamo qui per far sentire la nostra voce. Il governo turco deve rientrare nella Convenzione di Istanbul e deve intraprendere azioni legali, o la violenza sulle donne non si fermerà mai. Gli Stati devo far pressioni su Ankara”.

Una notizia devastante

Una notizia devastante. È così che Marija Pejčinović Burić, segretaria  generale del Consiglio Europeo, ha definito il ritiro della Turchia dalla Convenzione. Sulla stessa scia, anche Francia e Germania hanno criticato l’avvenuto. “Non possiamo non rammaricarci profondamente ed esprimere incomprensione per la decisione del governo turco” ha cinguettato su Twitter Josep Borrell Fontelles, alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza dell’Ue. Un messaggio poi ricondiviso anche dalla stessa Ursula von Der Leyen, che ha fortemente ribadito il suo sostegno alla Convenzione, ricordando quanto sia importante un solido quadro giuridico per la protezione delle donne.

“L’ennesima frattura fra l’Europa e il governo di Erdogan su principi e valori che dovrebbero essere universali” commenta su Twitter Laura Boldrini, coordinatrice dell’inter-gruppo della Camera per le donne, i diritti e le pari opportunità. E conclude con un invito: “Facciamoci sentire”.

…eppure…

Eppure al vertice UE di questa settimana si è deciso per una ripresa dei rapporti con la Turchia, nonché il rafforzamento di collaborazioni in alcuni settori strategici. Ankara ha infatti bloccato le perforazioni illegali nel Mediterraneo e ripreso colloqui bilaterali con la Grecia.

“the resumption of bilateral talks between Greece and Turkey and the forthcoming talks on the Cyprus problem under the auspices of the United Nations” si legge nel documento conclusivo del vertice.

La Turchia si ritira dalla Convenzione di Istanbul

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