Le realtà sociali della Rete dei Numeri Pari tra il 15 ed il 17 ottobre manifesteranno per i diritti e la giustizia sociale
di Giuseppe De Marzo – L’Espresso
In Italia sono 5,6 milioni le persone in povertà assoluta, di questi 1,3 minori. Quelle che vivono in povertà relativa sono più di 8 milioni. Una persona su 3 è a rischio esclusione sociale. Crescono dispersione scolastica, lavoro povero e precario e l’analfabetismo di ritorno, che colpisce il 30 per cento degli italiani. Difficile formare cittadini responsabili e promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita sociale e culturale della comunità in queste condizioni. Cultura e ricerca non sono considerati investimenti per la democrazia e il futuro, ma costi da tagliare. Siamo al ventiseiesimo posto tra i paesi Ocse per investimenti sulla ricerca, come l’Ungheria di Orban, e spendiamo meno della metà della Francia per la cultura. E i frutti si vedono.
Da 13 anni nel nostro Paese crescono povertà economica, culturale e relazionale. Da anni assistiamo ad una istituzionalizzazione della povertà e ad un ribaltamento della responsabilità: se sei povero la colpa è tua. Questo approccio culturale ha reso possibile criminalizzare la solidarietà, tagliare gli investimenti a sostegno del reddito, del lavoro e per un welfare pubblico. L’opposto di quanto stabilisce la Costituzione che prevede un solo obbligo per la Repubblica: rimuovere gli ostacoli per garantire i diritti sociali necessari ed indispensabili per la dignità della persona. Senza dignità e giustizia sociale non ci possono essere libertà e partecipazione, elementi fondamentali della democrazia. Lo abbiamo imparato dalla guerra e dalle crisi. Ma allora perché nonostante una situazione così grave mai registrata nella storia della Repubblica la politica continua a non ritenere una priorità sconfiggere disuguaglianze e povertà? Com’è possibile dinanzi a questi numeri riuscire a non parlarne?
Disuguaglianze, collasso climatico, diritto al lavoro ed alla salute, alcune delle grandi questioni sollevate dalle crisi. Ma di questi problemi e di come superarli la politica durante la campagna elettorale ha parlato davvero poco, e male. Come se non immaginasse alternativa al continuo peggioramento delle nostre condizioni sociali, economiche, ecologiche, culturali. Di che ci si stupisce se più della metà dei cittadini non vota più? E le periferie così decantate da tutti? Molto più delle metà non sono andati a votare. In questi luoghi, gli unici ad aver dato risposte sono le organizzazioni criminali attraverso il welfare sostitutivo mafioso. Sempre più vicine alle destre eversive. Da anni denunciamo come siano fascisti e razzisti a presidiare la rabbia, attaccando le mancanze delle istituzioni democratiche, sfruttando l’assenza di visione e l’incapacità di azione delle forze progressiste. Ma in questi anni non c’è stato confronto tra politica e associazioni, movimenti e cittadinanza attiva. L’assenza di ascolto e il verticismo nelle scelte sono la cifra attuale. Il confronto ed il conflitto sociale visti come fastidio e perdita di tempo. In realtà è vero il contrario se vogliamo uscirne. Ad esempio, senza coprogettazione e coprogrammazone con le realtà sociali, così come stabilito dall’art.3 del codice del partenariato e dalla sentenza 131 della Corte costituzionale del 2020, anche i fondi del Pnrr non serviranno a eliminare le disuguaglianze, a garantire maggiore equità sociale, né sostenibilità ambientale.
Siamo stretti tra coloro che invocano il ritorno alla normalità, incuranti che è quella normalità la causa dei nostri problemi, e coloro che fingono di voler cambiare ma non lo fanno. Riconoscono il problema causato dall’insostenibilità del modello economico ma non attuano le riforme strutturali necessarie. Per uscire dal morso di questa tenaglia abbiamo bisogno di tornare a dare voce ai diritti, alla giustizia sociale ed alla partecipazione. E bisogna farlo nelle piazze, quelle vere, per rappresentare il disagio, la sofferenza, la rabbia, i bisogni, le proposte e le aspirazioni di quella maggioranza del paese a cui la politica ha smesso di dare risposte.
Questo campo ed il suo vasto perimetro possono essere l’amalgama necessaria a costruire l’unico spazio possibile: quello dell’alternativa di civiltà. Solo così potremo rispondere all’egemonia esercitata in questi anni dalle élite economiche e finanziarie e dalle destre eversive nei confronti di chi è rimasto indietro. Sono queste ragioni che portano in piazza centinaia di realtà sociali della Rete dei Numeri Pari che tra il 15 ed il 17 ottobre, in occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della povertà, in molte piazze d’Italia manifesteranno per i diritti e la giustizia sociale.