Un’analisi scritta volutamente prima di sapere i nomi degli assessori, ma da leggere dopo. Perché Roma non è una questione solo di “nomi”, ma di “politiche”. Non solo di “merito” ma anche di “metodo”. Di impegni presi e ora da rispettare e di cambiamenti da apportare. Perché non può bastare pulire la città dai rifiuti prima di Natale
Questo articolo è stato scritto, con l’occhio del cittadino romano, volutamente prima di sapere gli assessori della giunta di Roberto Gualtieri. Premessa doverosa, perché Roma non è solo una questione di “nomi” ma di “politiche”. Differenza sostanziale. Perché Roma aspetta da troppo tempo delle politiche degne di questo nome, mentre di nomi negli ultimi anni se ne sono alternati fin troppi. Le questioni di cui tratteremo sono tutte aperte da tempo: non c’è nessuna tematica “nuova”, nessun fenomeno emergente che obblighi a cambi di passo. Nemmeno il Covid-19 è riuscito a tracciare una linea tra la Roma pre e quella post pandemia. Il problema non è emergenziale. Il problema è la normalità.
La città è lì, ferma, da anni. Immobile. Eterna. Tutto è ancora dov’era, dai rifiuti per le strade alle persone senza casa, dalla criminalità che governa interi quartieri all’assenza di infrastrutture che consentano una mobilità da “capitale europea”. Ogni sindaco che si è susseguito ha parlato di cambiamento e ne ha fatto la propria bandiera. Ma i risultati fino a oggi sono sotto gli occhi di tutti.
“Strade pulite entro Natale” è la frase che più di ogni altra ha accompagnato i romani dalla vittoria di Gualtieri. Una frase che sa di cambiamento, che viene spacciata come tale, perché anche la normalità (di nuovo lei, la normalità), a Roma, ha un che di rivoluzionario.
Lui. No, lei. Mettiamo loro. Una quota a te, una quota a noi. Questo il dibattito al quale abbiamo assistito sugli organi di informazione dal 21 ottobre al 3 novembre (giorno in cui questo contributo è stato scritto). Qualcuno ha buttato lì le possibili aree sulle quali potrebbe-dovrebbe-vorrebbe essere costruito lo stadio della Roma, qualcun altro ha provato a immaginare come la Capitale gestirà l’emergenza (sic!) rifiuti.
Eppure, qualcosa in quei giorni è accaduto. C’è stato un G20 che è stato raccontato a livello romano soprattutto per le zone rosse, le monetine lanciate dentro Fontana di Trevi dagli uomini più potenti del Pianeta, e i menù stellati che hanno deliziato i loro palati. C’è stata una grande manifestazione di piazza raccontata solo come “altri disagi” e “altre chiusure”. C’è stata poi una assemblea, nel quartiere Quarticciolo, alla quale ha partecipato più o meno un quarto del prossimo Consiglio comunale. Di questo, però, non c’è stata praticamente traccia sui giornali. Ma in quell’assemblea, chiamata non da una forza politica ma da una rete di realtà sociali, riunita dietro il nome Rete dei Numeri Pari (fondata da Libera e che conta decine di ‘movimenti’ sparsi lungo tutto il territorio nazionale) consiglieri comunali e anche alcuni di quelli che sarebbero poi diventati assessori sono stati messi al cospetto delle vere problematiche della città.
Non un elenco di programmi, perché le necessità della Capitale sono chiare a tutti. Non si è parlato di “merito” ma di “metodo”. Ed è qui la chiave per un vero cambiamento.
Due le proposte messe sul tavolo, a nome della Rete dei Numeri Pari, dal coordinatore nazionale Giuseppe De Marzo e che – per ora a parole – sono state accolte dai neoletti presenti al teatro del Quarticciolo. La prima: uno spazio fisso in Campidoglio dove le istituzioni e le “rappresentative sociali”, per usare un concetto caro a Stefano Rodotà, che della Rete è stato tra i fondatori, possano condividere idee e proposte. Uno spazio, attenzione, deliberativo e non di consulta. Al centro, le due tematiche che tengono dentro tutti i problemi di Roma: disuguaglianza e criminalità. La seconda: assemblee permanenti con i cittadini, i sindacati, i comitati e le realtà sociali in ogni municipio sui fondi del Pnrr per co-progettare e co-programmare il futuro della città.
Perché cosa serve a Roma lo sappiamo tutti. Quello che manca è la partecipazione democratica. E l’astensionismo all’ultima tornata elettorale ne è la prova. “La maggioranza delle persone ormai ritiene la politica uno strumento assolutamente inutile per cambiare la propria condizione materiale,” ha spiegato Giuseppe De Marzo, “o per esercitare pressioni sui poteri forti”. Troppo “verticistica” in alcuni casi, troppo “disintermediata” in altri (vedi i 5stelle). Processi troppo opachi e poco trasparenti. Risultato: “Una politica senza società e una società senza politica”.
Da oggi, 3 novembre 2021, Roma ha un nuovo sindaco finalmente operativo. Quel nuovo sindaco ha una nuova Giunta fatta di nomi e che rappresentano percorsi eterogenei. Le aspettative sono alte. Ma una cosa è praticamente certa: se il Campidoglio non diventerà il luogo della partecipazione, non ci sarà nessun cambiamento possibile. Perché la politica, da sola, ha ormai dimostrato di non essere in grado di risolvere i problemi della città. Servono luoghi di incontro e co-progettazione innovativi perché, ormai lo abbiamo capito tutti, nessuno si salverà da solo.
Roma, Gualtieri e la nuova Giunta: per mettere le cose in chiaro da subito