È online, scaricabile gratuitamente, la traduzione a cura di Sbilanciamoci! del nuovo EuroMemorandum 2022. Al centro delle analisi e delle proposte contenute nel Rapporto di quest’anno la difficile situazione in Europa, stretta tra la crisi Covid-19 e il conflitto causato dall’invasione russa in Ucraina.
Sbilanciamoci! 18 Maggio 2022
Come ogni anno, anche nel 2022 Sbilanciamoci! pubblica la traduzione integrale in italiano, scaricabile gratuitamente, del Rapporto EuroMemorandum realizzato dall’EuroMemo Group, rete europea di economisti impegnata sul fronte dell’analisi e della proposta per imprimere all’Unione europea una svolta verso traguardi di giustizia economica e sociale e di sostenibilità ambientale.
Il Rapporto EuroMemorandum 2022, intitolato “Tra Covid-19 e guerra in Ucraina: l’Unione Europea nel 2022”, deriva come di consueto dai dibattiti e dalle relazioni presentate alla conferenza annuale (il “Workshop on Alternative Economic Policy in Europe”) organizzata dall’EuroMemo Group, la cui ventisettesima edizione si è tenuta online dal 14 al 24 settembre 2021. Al centro del Rapporto la difficile situazione in Europa, stretta tra le conseguenze di una crisi pandemica che perdura ormai da oltre due anni e il drammatico conflitto causato dall’invasione russa in Ucraina a febbraio 2022.
Il Rapporto Euromemorandum 2022 analizza lo scenario politico ed economico della UE e le prospettive future, concentrandosi sulle politiche macroeconomiche, sociali e occupazionali e avanzando proposte alternative per un cambio di paradigma in direzione di un’ambiziosa – e necessaria – transizione socioecologica in Europa. Inoltre, particolare attenzione viene riservata alla guerra in Ucraina, alle sue cause remote e prossime, alle sue conseguenze a breve e lungo termine, sottolineando l’assoluta urgenza per la UE di fermare l’escalation del conflitto e favorire una soluzione pacifica e duratura.
Qui di seguito pubblichiamo il testo dell’introduzione del Rapporto.
Le conseguenze della crisi Covid-19
La pandemia di Covid-19 ha contrassegnato l’andamento del 2021, così come era avvenuto per l’anno precedente. Il mondo ha già vissuto tre grandi ondate di diffusione del Coronavirus, e nel momento in cui scriviamo il Rapporto EuroMemorandum di quest’anno, una quarta ondata causata dalla nuova variante Omicron, con annesse sottovarianti recentemente scoperte, sta imperversando in Europa. Alla fine di gennaio 2021, 376 milioni di casi di Covid-19 sono stati registrati a livello globale, con 5,68 milioni di decessi.1 In Europa ci sono stati 140 milioni di casi e 1,74 milioni di decessi, corrispondenti rispettivamente a quasi il 37% e il 31% del totale a livello globale. I cinque paesi europei che sono stati colpiti maggiormente in termini di numeri assoluti sono Francia, Regno Unito, Russia, Turchia e Italia.
Anche a causa delle drammatiche perdite in termini di biodiversità globale, il Covid-19 ha avuto un profondo impatto sulle condizioni di vita globali e sull’economia europea. Mentre il PIL dell’UE ha subito una contrazione del 5,9% nel 2020, nel 2021 il contesto macroeconomico è leggermente migliorato registrando tassi di crescita positivi in tutti gli stati membri. Tuttavia, l’occupazione e i salari reali sono rimasti indietro a cospetto del rimbalzo nell’andamento della produzione. La disoccupazione ha raggiunto un picco dell’8,6% nel settembre 2020, rispetto al 7,4% del settembre 2019, ma da allora si registra una tendenza al ribasso. Al contrario, il tasso di disoccupazione giovanile ha fatto registrare un aumento rilevante, dal 15% nel settembre 2019 al 18% nel settembre 2020, dal momento che i giovani sono stati colpiti in modo sproporzionato dalla crisi pandemica.
Mentre l’uso diffuso degli schemi di mantenimento dei posti di lavoro e di misure simili ha avuto un effetto contenitivo sulla disoccupazione, le perdite di reddito sono state comunque significative. Nel 2020, la perdita del reddito medio da lavoro a livello dell’UE è stata stimata a -7,2%, con ampie eterogeneità tra i paesi ed effetti diseguali sui gruppi sociali vulnerabili. Questo conferma la tendenza generale che vede la pandemia colpire regioni e settori diversi con forza variabile, creando o intensificando le divergenze esistenti nell’UE.
Nel complesso, sebbene l’arrivo dei vaccini e la loro diffusione relativamente rapida in tutta l’UE abbia ridotto i tassi di mortalità, il Covid-19 continua a rappresentare una minaccia. La presenza di miliardi di persone ancora non vaccinate in tutto il mondo – perché non hanno accesso ai vaccini oppure perché non vogliono riceverli – rende di fatto la ripresa dalla pandemia dell’economia e delle società europee ancora vulnerabile e soggetta a battute d’arresto, come ha dimostrato la recente ondata scatenata dalla nuova variante Omicron.
L’UE ha drammaticamente fallito nell’implementare una strategia di cooperazione multilaterale incisiva contro la pandemia di Covid-19. La crisi pandemica può essere affrontata efficacemente solo a livello globale, e il Nord più ricco deve necessariamente svolgere un ruolo di primo piano nel rafforzamento dei sistemi sanitari e nella rapida vaccinazione delle popolazioni del Sud. Finora, il Nord del mondo non ha avviato le misure e i programmi di aiuto necessari. Il sostegno finanziario per il programma multilaterale di vaccinazione COVAX e per le donazioni bilaterali di vaccini da parte degli Stati Uniti o dell’UE, per esempio, sono stati troppo esigui, sono arrivati troppo tardi e sono stati implementati lentamente.
I principali stati industrializzati, compresa l’UE, hanno invece dato priorità alla vaccinazione delle rispettive popolazioni. Il sostegno dell’UE di 1 miliardo di euro annunciato da Ursula von der Leyen a giugno 2021 per rafforzare la capacità di produzione di vaccini in Africa ha rappresentato per lo più un impegno simbolico. Nel migliore dei casi, tale sostegno può essere visto come una debole concessione in risposta alle insistenti critiche della società civile sul rifiuto dell’UE di sospendere i diritti di brevetto sui vaccini nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (“TRIPS Waiver”).
Il fallimento di un’efficace cooperazione multilaterale non si limita tuttavia alla pandemia di Coronavirus, ma riguarda anche altre questioni cruciali, non ultima quella del clima. La Conferenza delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (COP-26 dal 31 ottobre all’11 novembre 2021 a Glasgow) ha prodotto risultati decisamente modesti. L’ultimo Rapporto dell’IPPC, pubblicato alla fine di febbraio 2022, sottolinea che se gli stati non aumenteranno in modo significativo nei prossimi anni le loro misure per combattere la crisi climatica, sarà impossibile raggiungere l’obiettivo chiave di limitare il riscaldamento globale a 1,5° Celsius entro il 2100.2 Al contrario, un aumento della temperatura media globale di 3° Celsius o più rappresenta uno scenario probabile.
Gli impegni climatici dell’UE di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, e fino allo zero netto entro il 2050, potrebbero sembrare ambiziosi se paragonati a quelli dei suoi pari internazionali, compresi Stati Uniti e Cina; tuttavia, l’attuazione di questi obiettivi sta procedendo – nel migliore dei casi – lentamente. Il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità e l’emergere di pandemie e altre malattie sono interconnessi. Inoltre, il greenwashing di misure importanti come la recente proposta della Commissione Europea di classificare il gas naturale e l’energia nucleare come tecnologie di transizione ecologica, minaccia di compromettere qualsiasi progresso sostanziale.3
La guerra in Ucraina: una svolta pericolosa per il futuro dell’Europa
L’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, sta causando terribili sofferenze umane, aggravando il problema alimentare globale e peggiorando la situazione ecologica. Essa segna una svolta drammatica per lo stesso sistema internazionale e in particolare per lo sviluppo politico ed economico dell’UE. Date le numerose vittime tra la popolazione ucraina e la crescente minaccia di una guerra termonucleare, l’obiettivo più immediato deve ovviamente essere quello di ridurre le tensioni facendo un passo indietro per arrestare l’escalation.
Le dure sanzioni economiche imposte alla Russia, così come il massiccio sostegno militare degli Stati Uniti, dell’UE e di altri paesi nei confronti dell’Ucraina potrebbero sembrare giustificate dalla flagrante violazione del diritto internazionale da parte del governo russo. Tuttavia, queste misure potrebbero contribuire a un’escalation della guerra e a esacerbare il rischio di un conflitto militare che coinvolga i paesi della NATO, compreso l’eventuale, anche se improbabile, utilizzo di armi nucleari. Per evitare che un simile scenario si materializzi, è urgente riconsiderare l’approccio alle sanzioni e, soprattutto, intensificare gli sforzi diplomatici per fermare un’ulteriore escalation della guerra.
Sul piano interno, i paesi dell’UE e la Germania in particolare hanno risposto annunciando massicci programmi finanziari di spesa per la difesa e il riarmo, ulteriormente rafforzati dalla Dichiarazione di Versailles al vertice dei leader dell’UE dell’11 marzo 2022. Con un repentino cambio di mentalità, l’UE vuole ora perseguire proattivamente una strategia di autonomia energetica, contemplando sia una diversificazione delle forniture di gas naturale e petrolio, sia un’offensiva incentrata su investimenti accelerati per le energie rinnovabili. Inoltre, si discute di una successiva eliminazione del carbone, di un aumento delle importazioni di gas liquido e di nuove centrali nucleari. Tutto ciò è in netto contrasto con il dibattito finora tiepido sull’“autonomia strategica” nell’UE.
Mentre il conflitto in Ucraina ha drammaticamente esposto le dipendenze strategiche riguardo alle importazioni dell’UE, resta da vedere se questo porterà ad accelerare l’implementazione dello European Green Deal, oppure se la risposta politica comunitaria si concentrerà sull’estensione dell’uso dei combustibili fossili (cioè carbone e gas da fonti alternative) e dell’energia nucleare. Ciò che è chiaro è che le ripercussioni economiche e sociali della crisi sull’UE saranno significative, con una stima prudente del costo di bilancio a breve termine nel 2022 pari all’1,25% del PIL europeo, cioè circa 175 miliardi di euro.4
Considerando lo shock economico, la maggiore avversione al rischio sui mercati finanziari e un probabile deprezzamento degli asset europei, non sono da escludere ripercussioni sulla sostenibilità del debito pubblico negli stati membri più fragili. La riforma in corso del Patto di stabilità e crescita e delle normative fiscali nazionali, come lo Schuldenbremse (“freno al debito”)5 tedesco, dovrà adattarsi alla nuova situazione ed essere resa sufficientemente flessibile per consentire di attutire l’impatto della crisi, da un lato attraverso una massiccia assistenza umanitaria ai milioni di rifugiati ucraini che fuggono nei paesi dell’UE, e dall’altro lato attraverso programmi di assistenza sociale per mitigare le conseguenze dell’aumento dei costi energetici, alimentari e degli alloggi sulle famiglie.
L’internazionalismo cooperativo come compito centrale dell’UE
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, i principi dell’ordine di sicurezza europeo sanciti dagli accordi di Helsinki del 1975 sono stati gravemente violati. Il profondo shock che la guerra ha inflitto ai cittadini dell’UE ha innescato un dibattito carico di emozioni, che a sua volta ha provocato annunci avventati negli stati membri rivolti all’aumento della spesa per la difesa e il riarmo. La resistenza della cittadinanza e della società civile a questo slancio verso la militarizzazione è rimasta finora contenuta.
Le implicazioni più ampie dei recenti eventi sia per la sicurezza europea sia per la traiettoria di sviluppo dell’integrazione europea rimangono da valutare, anche se alcune tendenze sono già visibili. In termini strategici, la NATO sta chiaramente vivendo una fase di rinascita e la posizione di leadership degli Stati Uniti si è rafforzata. Questo a sua volta ha favorito gli interessi statunitensi rivolti alla subordinazione dell’UE ai suoi obiettivi geopolitici, in particolare per quanto riguarda il contenimento non solo della Russia, ma anche e soprattutto della Cina come rivale in ascesa.
Sempre da un punto di vista strategico, l’UE si trova in una posizione difficile. Per prima cosa è chiaro che i costi economici e sociali della guerra – così come della futura ricostruzione dell’Ucraina – ricadranno principalmente su di essa, oltre che naturalmente sull’Ucraina stessa e su una popolazione che sta già soffrendo terribilmente. Nel caso di un conflitto militare prolungato con un’Ucraina massicciamente danneggiata e una Russia isolata a livello internazionale, non solo sarà impossibile ristabilire un ordine di sicurezza durevole per l’Europa, ma le relazioni economiche con la Russia – e quindi l’accesso al mercato russo e alla sua vasta disponibilità di risorse naturali e materie prime – saranno permanentemente ridimensionate. Aumenterà la dipendenza economica dell’UE dagli Stati Uniti e da altre regioni, come i paesi mediorientali esportatori di petrolio, mentre il rapporto con la Cina in quanto alleato strategico della Russia probabilmente si deteriorerà ulteriormente.
Questa situazione avrà gravi conseguenze, considerando il prevalente orientamento all’esportazione dell’economia UE e l’importanza della Cina sia come mercato per i prodotti dell’UE, sia come fornitore di materie prime fondamentali e di una vasta gamma di beni e prodotti intermedi, come i pannelli solari per la transizione verde. Anche se la globalizzazione economica ha già subito un rallentamento prima della crisi pandemica, nel prossimo futuro emergerà probabilmente una tendenza ancora più marcata verso la regionalizzazione economica.
In questo contesto, la massima priorità dell’UE deve essere quella di fermare un’ulteriore escalation, se non di porre fine al conflitto in Ucraina e favorire una soluzione politica durevole che contempli sia i legittimi interessi dell’Ucraina rispetto alla sua sovranità territoriale sia le preoccupazioni della Russia dal punto di vista della sua sicurezza nazionale. Una politica sostenuta dall’UE e incentrata su sanzioni crescenti e a tutto campo alla Russia e su massicce forniture di armamenti alle forze militari ucraine appare controproducente, poiché rischia di prolungare e brutalizzare la guerra.
Più in generale, l’UE dovrebbe ripensare il suo orientamento strategico e resistere alla spinta al riarmo e alla militarizzazione. Un conflitto geopolitico tra le grandi potenze nel contesto di un emergente mondo multipolare non è un risultato necessario né auspicabile, ma tutto ciò dipende dalle decisioni politiche che i popoli e i loro leader prenderanno. In un contesto globale caratterizzato da una costellazione di crisi multiple e dall’emergenza climatica, l’UE e la comunità internazionale in generale devono concentrare il loro capitale politico ed economico sulla promozione di un’efficace cooperazione internazionale e sulla costruzione della pace.
Per poter diventare un promotore credibile ed efficace di un rinnovato internazionalismo cooperativo, l’UE dovrebbe dare l’esempio accelerando la trasformazione socio-ecologica dell’economia europea. Per cominciare, ciò richiede l’abbandono dei dogmi politici neoliberali degli ultimi 30 anni, volti a promuovere privatizzazioni, finanziarizzazione e un dannoso neo mercantilismo basato sulle esportazioni. Queste politiche hanno aumentato gli squilibri verso l’estero e spinto i paesi, in particolare nel Sud del mondo, a cercare rifugio nella concorrenza fiscale e nella concorrenza locale incentrata su bassi salari e standard ambientali permissivi. Attraverso gli accordi commerciali e di investimento, ad esempio, l’UE ha spesso ostacolato in modo diretto lo sviluppo di forme inclusive di statualità e causato una marcata instabilità macroeconomica.
Gli effetti combinati della pandemia di Coronavirus e della guerra in Ucraina sembrano destinati a generare ulteriori instabilità economiche e politiche nel Sud del mondo. Sia l’Ucraina che la Russia sono grandi produttori ed esportatori agricoli. Dall’inizio della guerra, le loro esportazioni si sono fortemente ridotte e il conseguente impatto si è manifestato in tutto il mondo con l’aumento dei prezzi degli alimenti e la riduzione delle scorte.6 Di fronte alla minaccia di un’ulteriore escalation, questa situazione deve essere affrontata urgentemente dall’UE. Realizzare un internazionalismo cooperativo richiede la chiara consapevolezza da parte delle élite politiche ed economiche dell’UE che le crisi e le divisioni dell’età contemporanea non possono essere risolte con il conflitto e la guerra, ma solo promuovendo uno sviluppo sostenibile e inclusivo in patria e all’estero.
Alla luce dei recenti avvenimenti, resta da vedere se l’UE sarà in grado di far emergere la volontà politica di fornire una spinta decisiva per la cooperazione internazionale. Ci troviamo chiaramente ad un punto di svolta cruciale nella storia dell’Unione europea: le decisioni di oggi determineranno i suoi sviluppi futuri, nel bene e nel male. Scelte politiche sbagliate comporteranno il rischio di un mondo post-pandemico in cui sarà di fatto impossibile raggiungere degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile entro il 2030; un mondo in cui le molteplici crisi di oggi – alimentare, sociale, ecologica, migratoria – saranno ulteriormente aggravate da crescenti minacce militari. Per i leader politici così come per la società civile, questo significa che l’attivismo ecologico e sociale deve potersi coniugare con la costruzione di un nuovo movimento per la pace.