Il riscaldamento globale aumenta oltre +2 gradi Celsius. La tecnologia aiuta ma non farà miracoli

Edoardo Vigna – Corriere della Sera
La tecnologia ci salverà tutti. Se il negazionismo climatico fa meno breccia che in passato (attenzione però, è più sottile ma c’è ancora), avanza un altro credo a cui dobbiamo fare attenzione. Magari si sente sempre meno dire «non è vero, il clima non sta cambiando, è sempre stato così», oppure «non è vero, sta cambiando ma non è colpa dell’uomo (che quindi non può fare niente)». Una nuova idea che ha cominciato a diffondersi, fra la gente come anche fra molti accademici (per non dire dei politici) chiama in causa la tecnologia, anche nella sua versione «suprema» dell’intelligenza artificiale: «I nuovi scienziati riusciranno a trovare la soluzione in tempo utile per fermare il disastro».

Il corollario di questo atto di fede è: inutile preoccuparsi più di tanto. Ed è quindi inutile – va da sé – affannarci ad adottare politiche di mitigazione, di riduzione cioè delle emissioni di gas a effetto serra, riconosciute come causa principale del riscaldamento globale, e in ultima analisi delle varie declinazioni della crisi climatica: alluvioni, uragani, siccità, con annessi e connessi. In parole povere, tutta questa ansia relativa all’anidride carbonica – la CO2 –, che satura sempre più l’atmosfera con la combustione di fonti fossili (petrolio, quindi benzina, e gas) o relativa al metano creato dalla digestione delle vacche nei troppi allevamenti intensivi, sarebbe sopravvalutata. Quando sembrerà tutto perduto, come nei migliori film d’azione, arriverà l’eroe, negli insoliti panni del genio – fisico, ingegnere o matematico che sia – geniale e creativo, e come in tanti disaster movie hollywoodiani, sull’orlo del baratro, a pochi secondi dall’irreparabile, fermerà il conto alla rovescia della fine del mondo. La dura realtà è che segnali che tutto questo possa verificarsi non sono all’orizzonte.

Sparare alle nuvole con un laser

Le invenzioni prospettate finora dalla ingegneria climatica hanno più il sapore della fantascienza che della scienza del presente: dal parasole spaziale in grado di deviare i raggi prima che surriscaldino il nostro Pianeta, al “Martello di Thor”, un laser con cui sparare nelle nuvole per controllare le intemperie. Per definirlo, viene usato il nome dello strumento del dio ripreso al cinema nella serie “Avengers”: ma non pensiate per questo che non ci sia chi voglia affidarvisi, a Delhi (e Mumbai segue a ruota) stanno seriamente valutando l’uso della pioggia artificiale per ridurre l’inquinamento atmosferico ormai arrivato a livelli insostenibili.

Nucleare da fusione

Grande è l’aspettativa sul nucleare. Quello di “IV generazione” di cui si parla spesso oggi, che punta a rivoluzionare la produzione di energia attraverso processi e materiali più sicuri, economici, affidabili e meno inquinanti dei generatori attuali, è però ancora in via di sperimentazione, e resta pur sempre “da fissione”. L’unico nucleare davvero pulito, quello “da fusione” «è un futuro non troppo distante», nelle parole pronunciate dall’inviato speciale americano per il clima John Kerry pochi giorni fa, alla presentazione del Commonwealth Fusion System (Cfs), spin-off del Mit di cui l’italiana Eni è primo investitore privato: la previsione, se tutto va per il verso giusto, è che la prima centrale su scala industriale possa partire nel 2030. Certo, questa iniziativa ci deve rendere ottimisti. Un giorno avremo a disposizione strumenti che cambieranno l’effetto dell’azione dell’uomo sul clima. Anche molte altre iniziative sono interessanti.

I pellet bruciati non sono rinnovabili

Per esempio, la centrale elettrica a carbone che si trova a Drax, nel North Yorkshire, con le sue enormi torri di raffreddamento, così grandi da poter contenere il Big Ben londinese: con quattro dei sei generatori dell’impianto che ora bruciano pellet di biomasse legnose, è diventata il più grande generatore di energia rinnovabile del Regno Unito e sta convertendo i restanti due elementi di carbone in turbine a gas a ciclo combinato. Eppure i pellet bruciati (peraltro importati dall’America) non sono etichettabili come rinnovabili perché la combustione rilascia carbonio e infatti i consulenti di Drax suggeriscono di non riferirsi più alla combustione della biomassa come “carbon neutral”. La stessa centrale, poi, vuole catturare la CO2 emessa durante la produzione di elettricità, per evitare che la maggior parte entri nell’atmosfera, e trasportarla attraverso un gasdotto per stoccarla in modo permanente nelle profondità sotto il Mare del Nord.

Il ‘sequestro della CO2’

Ecco un’altra delle tecnologie che creano aspettative. La rimozione della CO2 dall’atmosfera e il suo “sequestro” nel sottosuolo, spesso nelle cavità lasciate vuote dagli idrocarburi. È una strategia utilissima, e non a caso molti governi europei hanno incluso questa tecnologia nelle loro visioni di decarbonizzazione. E sono già diversi gli importanti progetti in via di realizzazione, anche in Italia. Al momento, però, resta un limite quantitativo: considerati i volumi di anidride carbonica che andrebbero “fatti sparire”, la tecnica può senz’altro contribuire, ma non è quella definitiva.

Acquacoltura e alghe

Così come assai promettenti appaiono altre tecnologie: il successo degli impianti di acquacoltura, a cominciare da Planet Farm, creato alle porte di Milano e che ora si espande anche nel Regno Unito, lancia un segnale forte per il futuro, ma anch’esso non è un modello che può contribuire per tempo in modo decisivo. Allo stesso modo hanno portata limitata altre idee efficaci, tipo quelle che puntano sulle alghe e sulla posidonia, che hanno una capacità importante di assorbimento dei gas a effetto serra, ma non arriveranno mai, da sole o con altri sistemi ad alta tecnologia, a fermare il riscaldamento globale. Che corre oltre le peggiori previsioni.

La temperatura media della superficie della Terra ha appena avuto un picco oltre la soglia, più che simbolica, dei +2° di anomalia rispetto al periodo 1850-1900. Secondo l’Onu il global warming è quasi fuori controllo: abbiamo solo il 14 per cento di possibilità di limitarlo a +1,5° come considerato necessario dagli Accordi di Parigi, prima di finire nel disastro climatico. La tecnologia che ha fatto grande l’era industriale, incentrata sugli idrocarburi, è alla base dell’innalzamento delle temperature. Ma la stessa innovazione non potrà fermare in tempo questa corsa: alla Cop28 in corso a Dubai lo sanno bene. Solo la tempestiva sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili potrà farlo. E questa tecnologia c’è già.

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