Come noi umani, gli animali hanno emozioni. E sempre più persone si oppongono al loro sfruttamento
Di Giuseppe De Marzo – L’Espresso, 8 dicembre 2023
Gli allevamenti intensivi, la distruzione e l’alterazione di ecosistemi, le sperimentazioni, l’antropizzazione degli habitat, sollevano questioni etiche nei confronti degli animali che non possiamo più ignorare. Abbiamo una responsabilità collettiva ancora più evidente dopo le ultime conquiste scientifiche che dimostrano come gli animali non siano automi inanimati privi di una visione soggettiva del mondo. Provano emozioni, avvertono dolore, apprendono comportamenti ed hanno forme di percezione alle volte più evolute delle nostre.
Aristotele sosteneva che il fine di ogni entità vivente sono la vita e la propria fioritura. Nessuna creatura esiste in funzione di altre specie. Ciascun individuo è un fine e non può essere utilizzato come mezzo. Il peccato originale filosofico è quello di considerare gli animali come mezzi inanimati a nostra disposizione.
Questa considerazione apre a riflessioni, azioni e impegni nuovi che stanno coinvolgendo anche nel nostro paese tantissime persone e realtà sociali che si battono per il riconoscimento dei diritti per gli animali. Il loro impegno sta generando grande partecipazione. Come la Rete dei Santuari, che mette insieme tutti i Rifugi che accolgono animali sottratti allo sfruttamento e alla “politica di dominio”. Chiedono giustizia per la strage dei 9 maiali del Rifugio Cuori Liberi avvenuta il 20 settembre scorso in provincia di Pavia, a Sairano, e per il pestaggio perpetrato dalla polizia nei confronti degli attivisti che coraggiosamente hanno tentato di difenderli. Perché? Perché quei maiali, uccisi ufficialmente per scongiurare la diffusione della peste suina degli allevamenti intensivi vicini, in realtà stavano bene e non erano pericolosi. Si poteva e si doveva intervenire diversamente. Perché i Santuari ospitano animali al di fuori delle logiche di sfruttamento e per questo a loro va applicato un protocollo diverso in caso di emergenza sanitaria, essendo riconosciuti come rifugi permanenti e non allevamenti.
Per chiedere giustizia per gli animali e per portare avanti la richiesta di protocolli specifici per la gestione della Peste Suina Animale applicabili ai Rifugi, la Rete dei Santuari ha promosso due manifestazioni che hanno coinvolto 10 mila persone a Milano lo scorso 7 ottobre ed altrettante a Roma il 18 novembre. Tantissimi i giovani da ogni parte del paese mossi da una sana impazienza.
Il sostegno e l’empatia verso l’impegno della Rete dei Santuari sono più grandi di quello che immaginiamo e sollevano questioni politiche rilevanti perché interrogano la nostra idea di civiltà e rafforzano la necessità di un cambiamento culturale profondo per affrontare e risolvere i problemi posti da un modello economico ormai insostenibile, violento ed inemendabile. I Rifugi non sono allevamenti e svolgono una funzione sociale diametralmente opposta: dare rifugio, cura e ospitalità ad animali salvati da un destino di macellazione e sfruttamento e contemporaneamente formano attivisti e attiviste alla cultura antispecista. Sono luoghi di liberazione, resistenza e riscatto che rappresentano l’opposizione netta di una parte molto ampia di società civile contro lo sfruttamento sistematico di decine di migliaia di animali sacrificati nei macelli e nei laboratori solo per il profitto.
Abbiamo urgente bisogno di una diversa convivenza con le altre specie. Come noi hanno diritto alla vita. Quello che è successo a Siriano non deve succedere mai più. Perché un animale non umano, che pensa, pianifica e apprezza la vita come noi animali umani, ha il diritto a essere tutelato dalla legge contro qualsiasi crudeltà arbitraria e detenzione forzata che subisce. È una questione etica e politica.
Un paese nel quale tante persone sono disposte a battersi per affermare che “Ogni vita vale” ha ancora un domani.