I ricchi evadono sempre più tasse

Hanno conti offshore in paradisi fiscali o investono nel settore immobiliare: così i miliardari riescono a pagare sempre meno mentre i profitti crescono. I risultati del primo report sull’evasione globale fatto dall’Ue Tax Observatory

14 novembre 2023 Martina Cataldo – Collaboratrice lavialibera

I miliardari sono diventati ancora più abili nell’evadere le tasse. Così facendo, le persone più ricche al mondo riescono a pagare sempre meno man mano che i loro profitti crescono, mentre per la stragrande maggioranza delle persone avviene il contrario: l’imposta sul reddito cresce con l’aumentare dei guadagni.

Sono questi alcuni dei risultati del primo Global Tax Evasion Report 2024, pubblicato dall’Ue Tax Observatory (fondato e guidato dal 2021 dall’economista Gabriel Zucman) e presentato lunedì 13 a Roma. Il rapporto, co-finanziato dall’Unione europea, restituisce una fotografia del divario, ormai enorme, tra la tassazione imposta ai normali cittadini, che si aggira tra il 20 ed il 50 per cento del reddito di ognuno, e quella applicata invece ai super-ricchi che si colloca tra lo 0 e lo 0,5 per cento della loro ricchezza e non supera il 25 per cento del loro reddito. La strada più comune per evadere è diventata l’investimento immobiliare.

Muoversi ai limiti della legalità

I più facoltosi del pianeta, muovendosi ai “limiti della legalità”, riescono a evadere le tasse spostando i propri profitti, inclusi i dividendi delle loro società, in conti offshore o in holding finanziarie a volte create nei paradisi fiscali o in Stati con normative favorevoli.

Le holding sono “società madri” che diventano titolari delle quote delle società controllate, sostanzialmente schermando i reali proprietari e l’incasso dei dividendi. Annette Alstadsater, coordinatrice del gruppo di ricerca, spiega a lavialibera, che la creazione di varie holding, spesso con proprietari non direttamente identificabili, permette alle società di risultare direttamente proprietarie delle azioni al posto dei singoli individui. Così facendo il profitto generato non è direttamente riconducibile a una persona e quindi non viene tassato. 

Tali realtà “si collocano in una zona grigia, in bilico tra elusione ed evasione – scrivono i ricercatori – nella misura in cui vengono create con lo scopo di evitare l’imposta sul reddito, possono legittimamente essere considerate al pari di un’evasione fiscale”. Il rapporto mostra inoltre che, sebbene l’evasione fiscale realizzata tramite l’utilizzo di conti offshore sia diminuita negli ultimi 10 anni, grazie all’introduzione di una nuova normativa sulle informazioni finanziarie, dall’altro canto si affacciano nuove frontiere dell’evasione che si realizzano soprattutto “utilizzando investimenti immobiliari”.

Come i più ricchi pagano meno tasse

I numeri del rapporto parlano chiaro: mentre la ricchezza media è cresciuta del 3 per cento all’anno dal 1995, quella dei più ricchi è triplicata, passando dal 6 al 9 per cento. La ricerca, partendo da alcuni studi condotti in Francia, Stati Uniti e Olanda giunge a risultati sorprendenti: emerge che per il 99,9 per cento della popolazione di quei paesi l’imposta sul reddito è progressiva – ovvero più guadagni più paghi in tasse – mentre per il restante, che coincide peraltro con il 35 per cento delle persone più ricche al mondo, l’imposta sul reddito è invece regressiva, ossia diminuisce al crescere dei guadagni.

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Per quale ragione? Principalmente perché i più facoltosi hanno risorse e competenze necessarie per sfruttare i sistemi di tassazione più favorevoli sia con pratiche palesemente illegali (non dichiarare i propri redditi), sia con pratiche “grigie”. “Partiamo dal fatto che le imposte sul capitale di una società sono generalmente più basse di quelle applicate al singolo individuo – spiega Alstandsater –, ma l’altro problema è che queste persone così ricche se ne stanno semplicemente lì a possedere società su società che a loro volta posseggono altri beni, e tutto questo non viene tassato finché non viene portato al di fuori dell’impresa”.

Un nuovo protocollo

Uno dei modi per evadere le tasse è quello dei conti offshore. Si tratta di un sistema di trasferimento di ricchezza in un paese straniero. Di per sé una pratica legale che però ha alcune importanti conseguenze: poiché questa ricchezza non viene dichiarata, allora non viene neppure tassata. Rimane nascosta nei cosiddetti paradisi fiscali (tax havens, porti fiscali), dove miliardari, multinazionali e criminali nascondono al fisco il proprio portafoglio. Il rapporto stima che la ricchezza globale offshore nel 2022 è stata pari a 12 mila miliardi di dollari; in Italia il valore si attesta attorno ai 198 miliardi di dollari.

È stata senza dubbio una delle pratiche più utilizzate per l’evasione, almeno fino al 2017, quando con un nuovo protocollo di scambio automatico delle informazioni fiscali (in inglese il Common Reporting Standard) firmato da 110 paesi, le banche sono state obbligate a fornire informazioni sui propri clienti stranieri all’autorità finanziaria del paese di residenza. Per cogliere la  differenza pre e post riforme: mentre la quantità di ricchezza nei paradisi fiscali è rimasta la stessa, fino al 2010 non era dichiarata al 90 per cento, dopo il 2013 per il 25 per cento.

Almeno due i problemi che rimangono. Il primo riguarda il fatto che molti istituti finanziari presenti nei paradisi fiscali ancora oggi “non rispettano le regole per paura di perdere clienti”. Il secondo ha a che fare con alcune “falle” o “punti ciechi” del nuovo protocollo. Infatti, non tutti i beni e le attività commerciali sono sottoposti al nuovo standard di scambio di informazioni: quello immobiliare, per esempio, non lo è, e questo spinge molti a spostare i propri investimenti proprio in quel settore.

Dai conti offshore agli investimenti immobiliari

“Il settore immobiliare rappresenta un punto cieco particolarmente grave per lo scambio di informazioni”, dichiarano i ricercatori. L’obbligo di scambio delle informazioni riguarda solo i beni fiscali e non quelli “reali”; pertanto, il denaro un tempo depositato in conti offshore viene adesso investito in immobili attraverso strutture segrete, come società di comodo e trust. Ciò consente di passare sotto ai radar senza essere tassato. 

Ecco che ricompaiono allora i paradisi fiscali, dove secondo Alstadsater “la segretezza è il bene principale venduto in questi luoghi”. Secondo il rapporto, sono 500 i miliardi di dollari investiti in immobili di proprietà straniera a Londra, Parigi, Singapore, Oslo, Costa Azzurra e Dubai.

Nel Regno Unito, per esempio, circa l’1,25 per cento degli immobili residenziali era di proprietà offshore, per poi salire al 15 per cento nei casi di proprietà di immobili di lusso. I ricercatori hanno acceso un faro anche su Dubai dove sono 136 i miliardi di dollari investiti da proprietari stranieri e nessun registro pubblico dei proprietari. Uno dei sette emirati arabi è oggi una popolare destinazione per gli investitori del settore immobiliare.  “Si pensi alle proprietà a Dubai come ai nuovi conti bancari svizzeri”, dicono gli studiosi nel rapporto. Il problema principale è che della maggior parte di questi casi non si riesce a risalire al vero proprietario.

Una questione di democrazia

“Questa lampante disparità fiscale mina il corretto funzionamento della nostra democrazia; approfondisce la disuguaglianza, indebolisce la fiducia nelle nostre istituzioni ed erode il contratto sociale”, afferma il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, all’inizio del rapporto. La disparità fiscale e la capacità di trovare escamotage per eludere le tasse sono state viste per troppo tempo “come una parte inevitabile della natura umana e come conseguenze della globalizzazione”, aggiunge il premio Nobel. Ma a beneficiarne sono però solo multinazionali e super ricchi, mentre a farne le spese sono soprattutto i normali cittadini.

Sulle loro spalle resta il peso maggiore delle tassazioni oltre una progressiva sfiducia nel sistema delle imposte: se non ritengono che ognuno stia pagando la giusta fetta,  “inizieranno loro stessi a rigettare il sistema di tassazione” continua sempre Stiglitz. Ecco perché, a conclusione del rapporto viene avanzata la proposta di imporre un’imposta minima sul patrimonio netto dei miliardari pari al 2 per cento che “risolverebbe il problema dell’evasione fiscale e genererebbe 250 miliardi di dollari all’anno dai 2.756 miliardari conosciuti al mondo”.

È la prima proposta di questo genere, sostenuta anche da Oxfam, e segue la proposta di Stati Uniti, G20 e Ocse, per un’imposta del 15 per cento sulla ricchezza delle multinazionali. Scrivendo questo rapporto “volevamo cambiare il mondo attraverso i numeri” dichiara Alstadsater “riportare nero su bianco dati e cifre sulle disuguaglianze nei sistemi fiscali non risolverà di certo tutti i problemi, ma è [CONTINUA A LEGGERE SU Lavialibera]

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