La casa comune europea brucia: per sue interne e risalenti contraddizioni, per l’esplodere dei fascismi e dei sovranismi, per le guerre in cui è coinvolta, per la sua debolezza economica, per la polarizzazione geopolitica tra Stati Uniti e Cina in cui essa appare sempre più un vaso di coccio. Contemporaneamente non c’è, ad essa, un’alternativa credibile e desiderabile. In questo scenario si svolgeranno, a breve, nuove elezioni in diversi paesi e si definiranno, nell’anno che abbiamo di fronte, nuovi assetti politici. Per questo abbiamo deciso di aprire un confronto al riguardo, cominciando con un primo articolo, in qualche misura ricognitivo, di Livio Pepino (https://volerelaluna.it/commenti/2024/12/31/il-2024-e-la-fine-del-sogno-europeo/) a cui ha fatto seguito un’ampia analisi di Marco Revelli sulle dinamiche degli ultimi anni (https://volerelaluna.it/controcanto/2025/01/02/il-suicidio-dell-europa/). Ora il confronto – come sempre libero e plurale, pur nel quadro della nostra impostazione politica di fondo – è aperto. Nella speranza che ci aiuti a definire obiettivi e prospettive che in questo momento ci è difficile anche solo intravedere. (la redazione).
Sarebbe lungo l’elenco degli episodi in cui gli Stati Uniti hanno mentito all’opinione pubblica internazionale. Menzogne con cui hanno coperto sabotaggi, movimenti insurrezionali, azioni terroristiche, colpi di Stato, massacri di popolazioni inermi. Basterebbe dare uno sguardo alle ricostruzioni storiche di alcuni grandi giornalisti americani, perché tanti ferventi democratici nostrani, sostenitori delle buone ragioni della Nato, fossero costretti a rivedere le proprie erronee convinzioni. Mi riferisco, ad esempio, a un testo come quello di William Blum, Il libro nero degliStati uniti, Fazi, 2003. A dispetto del titolo da pamphlet sensazionalistico della traduzione italiana (l’originale è Killing Hope: US Military and CIA Interventions since World War II.) si tratta di un imponente volume di 886 pagine, che getta una luce sconvolgente sulla politica estera americana a partire dal dopoguerra. Oppure alla più più recente fatica di Vincent Bevins, Il metodo Giacarta. La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo, Einaudi, 2021. Un testo che svela tutto l’orrore di cui sono state capaci le amministrazioni americane per imporre il proprio dominio planetario, ricacciando nella loro subalternità coloniale tanti paesi del Sud del mondo. Sono pienamente convinto che senza aver letto almeno uno di questi due libri è difficile avere una idea non superficiale della politica estera americana e della reale natura di questo Stato. E certo anche la visione della storia mondiale perde un tassello della sua drammatica verità. Purtroppo i democratici italiani – i pochi che hanno un qualche interesse per le vicende della politica internazionale – si limitano a informarsi sui nostri quotidiani, impegnati a persuadere piuttosto che a informare, o ascoltando la propaganda quotidiana delle nostre TV.
Nel nuovo millennio la pratica della menzogna e dell’inganno da parte degli USA è diventata tuttavia moneta corrente delle relazioni internazionali. Dalla promessa a Gorbaciov di non estendere le basi Nato a Est, al pretesto delle armi di distruzioni di massa per invadere l’Iraq, dal doppio standard utilizzato nel promuovere l’indipendenza del Kossovo e nell’osteggiare le ragioni della Crimea. Nel primo caso uno Stato autonomo, in un’enclave a prevalenza albanese, è stato imposto alla Serbia a suon di bombe, nel secondo è stata condannata una reintegrazione nella Federazione russa di una regione da sempre russa, sulla base di un referendum pacifico in cui a favore si espresse tra il 96 e il 97% della popolazione. Con grande rispetto della Serbia e dell’alleato russo di allora, gli Usa poi piazzarono in Kossovo una grande base militare con 5000 uomini (D. Ganser, Le guerre illegali della NATO, Fazi, 2022)
Ma di recente la china delle falsificazioni è diventata inarrestabile. Si pensi a quante volte il governo Biden ha annunciato come prossima una tregua, che sospendesse la carneficina in corso a Gaza, mentre continuava a opporsi alle risoluzioni dell’ONU, alle condanne della Corte Internazionale di Giustizia, inviando nel frattempo migliaia di tonnellate di bombe a Israele perché continuasse la sua pratica sanguinaria. Ma ci sono stati altri comportamenti meno cruenti, di cui gli USA sono più o meno segreti ispiratori, e tuttavia non meno dirompenti negli effetti sulla credibilità dell’Occidente: il rifiuto del responso delle urne delle elezioni politiche in Georgia, del 26 ottobre 2024, e di quelle presidenziali di dicembre. Cosi come di quelle in Romania, dove si è contestato al vincitore Calin Georgescu – perché considerato filorusso – di partecipare al ballottaggio previsto per l’8 dicembre. È la continuazione di una storia già nota. Sappiamo che Washington punta da tempo all’inserimento della Georgia nella Nato, come dichiarato esplicitamente nel cosiddetto “Memorandum di Bucarest”, emanato a conclusione di un vertice dell’Alleanza nel 2008, che prevedeva anche l’inclusione dell’Ucraina. Ma non dimentichiamo che in quell’anno, dopo un’imponente esercitazione NATO, l’esercito georgiano, addestrato e finanziato dagli Stati Uniti, lanciò un massiccio attacco missilistico e di artiglieria contro il distretto dell’Ossezia del Sud, popolato da filorussi e confinante con la Federazione. Un’aggressione che costrinse Mosca a un intervento armato in difesa della popolazione. Com’é noto (e come credono ancora tanti democratici italiani) la vicenda è stata rubricata come l’”invasione russa della Georgia”, una manifestazione dell’”imperialismo di Putin”: vale a dire un rovesciamento della realtà. E infatti, una commissione dell’Unione Europea, istituita a ridosso degli avvenimenti, accertò che l’aggressione da parte dell’esercito della Georgia era «illegale» e che l’iniziativa di Mosca – intervenuta tra l’altro dopo che erano stati uccisi alcuni peacemaker russi – era «legittima». (G. Monestarolo, Ucraina, Europa, mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale, Asterios, 2024). L’opposizione ai risultati elettorali non graditi anche da parte dell’Europa e del resto dell’Occidente continua dunque la pratica del doppio standard della politica estera americana. Ma in questo caso l’eversione è ancora più grave: colpisce un istituto fondamentale della democrazia liberale, l’espressione della volontà popolare. L’ultima forma di resistenza alle oligarchie che in occidente stanno svuotando lo stato di diritto
Da questo rapido quadro c’è da trarre una conclusione in genere poco considerata dagli analisti filoccidentali. Una così aperta violazione del diritto internazionale da parte del più potente Stato del mondo e della più grande e antica democrazia liberale, non solo getta un’ombra di delegittimazione su tutte le democrazie occidentali al suo seguito, ma produce un danno anche più grave. La postura attuale degli USA (destinata ad accentuarsi con l’arrivo di Trump), che li fanno assomigliare al lupo della favola di Esopo, finisce col togliere ogni credibilità alla politica, ai suoi mezzi, alle sue capacità di compromesso, al suo stesso linguaggio. Se le parole dei governi sono una moneta falsa, come si fa a scambiare reciprocamente i beni di ciascuno? Come si fa a mantenere la stessa legittimità delle relazioni fra stati. Dunque, il comportamento degli USA e dell’Europa al seguito della Nato, stanno favorendo la creazione di uno scenario mondiale inquietante, senza che i protagonisti abbiano l’aria di essersene accorti: l’impraticabilità della politica e il crescente ricorso argomentativo alla forza delle armi da parte di tutti i paesi del globo. Ed è facile immaginare che già oggi chi sta subendo il maggior danno di questa grave svalutazione del governo razionale dei conflitti sia il popolo ucraino, perché la Russia, troppo a lungo ingannata, terminerà la guerra solo quando la situazione di vantaggio militare le consentirà le condizioni di sicurezza che la Nato le ha voluto sin qui negare.
Ora in che cosa si può sperare, che cosa possiamo auspicare e soprattutto, pur nelle nostre limitatissime possibilità, che cosa dovremmo rivendicare, proporre? Come individuare un qualche spiraglio di prospettiva per uscire dalla disperazione e soprattutto come mutare in positivo anche il modo di fare politica delle forze di riformismo anticapitalistico del nostro paese? Forze che sono tante, variegate, disperse, ma unite nella denuncia, nella condanna, nell’urlare “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, come scrive Montale. E tuttavia alquanto incapaci di prospettare qualche sentiero di impegno, di rivendicazione mirata, di lavoro costruttivo e soprattutto poco volenterose di farsi carico di ricadute concrete delle proprie analisi e denunce. Io credo che una rivendicazione utile per dare al movimento pacifista una maggiore efficacia politica sia la richiesta di un ripristino di relazioni normali con la Russia. Solo la straordinaria ignoranza (ma spesso anche la malafede) delle cause della guerra in Ucraina ha impedito ai nostri rappresentanti politici, ma anche a intellettuali e studiosi, di scorgere una delle ragioni fondamentali che hanno spinto gli USA a provocarla: staccare la Russia dall’Europa, colpire le condizioni di vantaggio economico del Vecchio Continente, basato sul basso costo delle fonti di energie, sbarrare il corridoio strategico (fatto di strade, ferrovie, gasdotti, oleodotti ecc.) che dall’Asia Centrale, attraverso Ucraina e Bielorussia, arriva sino all’Europa e al Mediterraneo. Una nuova area di economia e di scambi che avrebbe consentito ben presto all’Europa di assumere una centralità strategica assolutamente inedita e assai temuta dagli Americani. Gli USA, dotati di gruppi dirigenti imperiali, programmano le loro strategie con lo sguardo al futuro e su scala planetaria. Il ceto politico europeo, diviso e indebolito dalla perdita di legami con le masse popolari, sguazza nelle piccole bagattelle elettorali, fa minuta ragioneria contabile e si autopunisce con le politiche di austerità. La politica estera la lascia alla Nato, cioè agli USA, immaginati come stato amico e protettore.
Oggi appare evidente (ma fino a un certo punto) perfino a un leader della statura di Scholz, che le sanzioni varate da USA e Nato sono anche in danno degli interessi materiali dell’Europa. Esse non sono altro che barriere doganali, come ha mostrato, tra gli altri, Emiliano Brancaccio (Le condizioni economiche della pace, Mimesis, 2024) destinate a colpire certo la Russia, ma più rovinosamente le nostre economie. Ebbene, i vari movimenti contro la guerra devono a mio avviso puntare a rendere evidenti i danni che la condotta di governi e dei partiti politici filoatlantici infligge alla nostra economia e alle condizioni di vita dei cittadini. Non abbiamo i dati che sarebbero necessari. Ma sappiamo, ad esempio, che già a un anno dall’inizio della guerra le imprese europee lamentavano, solo in danni diretti, ben 100 miliardi di euro di perdite (P. Hollinger, E. Sugiura, O. Telling, European companies suffer €100bn hit from Russia operations, in “Financial Times”, 6 agosto 2023). Non possiedo informazioni più aggiornate di questa ampiezza. Non è difficile tuttavia immaginare che i danni si siano accresciuti nel frattempo con l’estendersi dell’impegno militare. La Germania in recessione ne costituisce una prova eloquente. Ma sul piano sociale per l’Italia le cose appaiono ancor più drammatiche. Un dato su tutti: la condizione di povertà assoluta, aumentata in tutti questi anni, e che con la guerra si è come cronicizzata, passando da 5,6 milioni, del 2021 ai di 5,7 milioni del 2023 confermati nel 2024.
Ora appare evidente che nei prossimi mesi per i paesi dell’Europa, e dell’Italia in particolare, si apre uno scenario di drammatica insostenibilità. La nuova amministrazione USA pretende un contributo alle spese Nato da parte dei vari stati membri del 5% del PIL. Che per il nostro Paese, gravato da un enorme debito, costituirà un esborso semplicemente distruttivo. Anche perché combinato con prospettive economiche manifestamente avverse. L’America first di Trump vuol dire interessi commerciali privilegiati per l’impero e dunque probabili barriere alle merci in arrivo considerate competitive. Per un’economia come la nostra, che in tutti questi anni ha puntato sulle esportazioni, deprimendo salari e consumi, la politica americana metterà in gravissima difficoltà molte nostre imprese e dunque il governo, il nostro ceto politico filoatlantico. Questi ultimi dovranno spiegare in maniera persuasiva la loro ostinazione suicida nel sostenere la guerra, non solo alle masse popolari sempre più impoverite, ma anche alle aziende minacciate nella loro sopravvivenza.
In queste difficoltà difficilmente aggirabili i movimenti per la pace (i cui dirigenti dovrebbero studiare con più serietà le cause della guerra, senza cedere alle favole da rotocalco dei nostri media), devono diventare ancor più credibili proponendo la fine delle sanzioni alla Russia. Un’operazione orchestrata dagli USA per gli stessi interessi che ora perseguirà Trump. Dobbiamo avere il buon senso e il coraggio di rivendicare la ripresa delle nostre relazioni vantaggiose con quel grande Paese, da cui non abbiamo ricevuto nessun danno o minaccia. È una scelta di pace, ma necessaria per un Paese che vuole sottrarsi alle prepotenze dell’amministrazione americana. Una richiesta da accompagnare con la proposta di una conferenza internazionale di pace, destinata a ricreare sicurezza e fiducia nelle relazioni tra stati. Dobbiamo ridare alla politica il protagonismo che è stato compromesso dall’infedeltà imperialistica degli USA, senza la quale sarà impossibile salvare l’umanità dalla catastrofe atomica. L’Italia è la sede del papa, potrebbe costituire il centro di questa grande iniziativa. Un progetto in cui coinvolgere le più diverse forze e culture e che potrebbe aprire un’era di pace drammaticamente necessaria anche per cura della biosfera, la nostra casa comune, che nel frattempo rischia il collasso.