“Reddito minimo garantito contro povertà ed esclusione sociale”. Intervista a Giuseppe De Marzo

In Italia 18 milioni di persone sono a rischio povertà o esclusione sociale. Sono i dati aggiornati del centro studi Cgia di Mestre, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese. Un rischio povertà che al sud raggiunge livelli ancor più pesanti per un paese civile: il 55,6% in Sicilia, il 49,9% in Campania e il 46,7% in Calabria.
Come affrontare questa emergenza diventata ormai strutturale negli ultimi anni? Nella campagna elettorale conclusasi con le elezioni del 4 marzo scorso se n’è parlato poco e male. Ai più non interessa e quando se ne parla regna la confusione (e la malainformazione) sulle proposte per far uscire chi è povero dalla sua condizione di oppressione, sociale e mentale. Un tema balbettato dalle forze politiche ma presente nei dibattiti e nei rapporti dettagliati di tante associazioni e movimenti che, come sempre, sono ignorati dalla gran parte dei media.
Lo scorso 14 e 15 febbraio la Rete dei Numeri Pari ha promosso un seminario  ed una conferenza stampa nazionale dal titolo «I love dignità» in cui sono intervenuti vari costituzionalisti tra cui Gaetano Azzariti, e docenti come Roberto Pizzuti e Tomaso Montanari. Un appuntamento, disertato dalle forze politiche per presentare una proposta concreta e circostanziata, in dieci punti, per il diritto a un’esistenza dignitosa.
Tra i promotori Giuseppe De Marzo (nella foto), di Libera da anni impegnato nelle reti sociali.

Quando e da dove nasce questa proposta?
Sono anni che la portiamo avanti e prima di noi l’Associazione Basic Income Network che in tutto il mondo ha lanciato proposte per contrastare la crescente povertà del pianeta.

Cosa intendete per “reddito minimo garantito”?
Uno strumento per garantire un’adeguata protezione a persone a rischio di esclusione sociale, coniugando dinamismo economico e solidarietà e garantendo la sicurezza dei sistemi produttivi.

Quali sono i punti di forza?
Un reddito individuale che corrisponda al 60% della media del paese di origine. E senza condizionalità sul lavoro: il sostegno al reddito finisce quando si esce dalla condizione di povertà e di esclusione sociale.

Perché il reddito minimo garantito “incondizionato” dovrebbe funzionare meglio?
Lo dicono i principali studi socioeconomici europei e mondiali: un reddito incondizionato libera le energie dell’individuo, la sua autonomia e creatività – nonché libera dal ricatto delle mafie, di un lavoro fuori dalle regole e pertanto dal ricatto della sua condizione economica – e libera l’individuo nella ricerca imprenditoriale di nuove idee, di nuove forme di lavoro.

Una delle principali obiezioni a questa proposta è che una simile misura renderebbe l’individuo più pigro…
Un luogo comune, uno stereotipo triste sconfessato dalle stesse scienze economiche e sociali. Colui che viene liberato attraverso il reddito minimo garantito è più produttivo per la società.

E supera la propria condizione di rassegnazione a un destino ineluttabile
Proprio così. La stessa psicologia lo conferma. Nell’individuo scatta qualcosa. Si supera la rassegnazione. E si ricomincia ad avere una speranza di un futuro migliore. Senza dimenticare che se a una persona povera gli dai settecento euro al mese cambierà radicalmente la sua propensione al consumo e quindi contribuirà non poco al dinamismo economico. E’ lo stesso Word Economic Forum a sostenere che il reddito di base rende più sicura la tutela dei sistemi produttivi.

Quando costa tutto ciò e dove si trovano i soldi?
I conti li abbiamo fatti anche con l’Istat: il costo del reddito minimo garantito oscilla tra i 14 e i 16 miliardi. Dove si trovano? Nello stesso luogo dove hanno trovato i 9 miliardi per gli ottanta euro e i 13 miliardi per il jobs act che hanno avuto un impatto pressoché nullo. E’ ai meno abbienti che devi garantire un contributo economico prima ancora che a coloro che uno stipendio ce l’hanno già.

E’ questa l’unica formula possibile per affrontare la crisi?
Non è uno strumento da mitizzare né la panacea di tutti i mali ma è una proposta sociale economica e culturale forte di cui abbiamo bisogno in una crisi drammatica come questa con un terzo della popolazione a rischio di esclusione sociale, con diseguaglianze in forte aumento.

L’attuale modello di sviluppo non è in grado di garantire piena occupazione?
Assolutamente no. Per questo riteniamo che investire 15-16 miliardi attraverso il bilancio dello stato e la fiscalità generale possa garantire almeno la dignità a chi è rimasto indietro. Non ci sembra di chiedere la luna ma di rispondere ai principi espressi dalla nostra stessa Costituzione. Siamo partiti dalle parole di Stefano Rodotà: rimettiamo al centro del dibattito politico il diritto all’esistenza di ciascun essere umano.

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