Siamo Chiara, Ilaria ed Elena e abbiamo 20, 19 e 17 anni. Siamo state introdotte nel mondo dell’accoglienza fin da piccole quando per tre anni di seguito, durante le vacanze estive, nel mese di luglio, ospitavamo a casa nostra una bambina della nostra età che proveniva dalla Bielorussia. Questa breve esperienza, seppur con le sue difficoltà, ci ha fatto capire realmente cosa significa condividere i propri spazi con qualcuno estraneo alla nostra famiglia.
Dopo un paio di anni, una decina di anni fa, con la nascita della rete di famiglie abbiamo iniziato a vivere più consapevolmente l’accoglienza. All’inizio, quando i nostri genitori partecipavano agli incontri, per noi era ancora una realtà molto lontana e astratta perché non la vivevamo in prima persona. Quando poi però c’è stata la prima proposta di accogliere, per un pomeriggio a settimana, una bambina di origini marocchine che faceva le elementari con noi, c’è un po’ crollato il mondo addosso. Noi per prime infatti avevamo dei pregiudizi nei suoi confronti e la nostra paura era che i nostri amici ci giudicassero e allontanassero per una decisione che non dipendeva da noi.
In questa esperienza infatti ci siamo lasciate coinvolgere il minimo indispensabile.
Ci siamo fatte trascinare sicuramente di più nella seconda accoglienza: due fratelli che venivano da noi qualche sera a settimana e che prima non conoscevamo. Vivevamo questa nuova situazione con più entusiasmo e disponibilità. Per questo motivo riconosciamo che i rapporti che si sono creati erano più forti e ancora oggi, quando capita di incrociarli, ci vengono in mente bei ricordi.
Nel complesso l’esperienza di accoglienza vissuta con la rete di famiglie se da un lato non ci ha risparmiato il peso del pregiudizio che sentivamo che gli altri avrebbero avuto su di noi, dall’altro ci ha permesso di aprire gli occhi sul fatto che c’erano tanti bambini, anche vicino a noi, che non avevano le nostre fortune e le nostre possibilità.
Questa esperienza, nella sua caratteristica di avere un tempo limitato e ben definito (per noi qualche ora a settimana) ci ha lasciato una certa libertà nello scegliere come vivere questi rapporti e sicuramente il fatto di essere tre sorelle ci ha permesso, in diverse occasioni, di prenderci i nostri spazi e vivere l’accoglienza con i tempi e i modi che decidevamo noi.
L’appartenenza dei nostri genitori alla rete di famiglie ci ha fatto entrare a piccoli passi nel contesto dell’affido.
In questa occasione, mentre i nostri genitori frequentavano il corso per prepararsi, anche se non eravamo del tutto convinte di quello che stavano facendo, abbiamo cominciato a immaginarci ipoteticamente chi sarebbe potuto venire a casa nostra, sempre però pensandoci in modo positivo.
La realtà è che siamo state catapultate nella prima esperienza di affido da un momento all’altro senza aver avuto la possibilità di confrontarci bene con i nostri genitori e per questo fin dall’inizio abbiamo vissuto con insofferenza l’arrivo di una bambina di dieci anni in casa nostra.
Anche se dopo un paio di mesi questo affido si è rivelato essere davvero difficile e impegnativo possiamo dire che questo ha permesso di unirci molto come famiglia ma in particolare come sorelle. L’esperienza di affido infatti inevitabilmente ha cambiato le dinamiche della nostra famiglia perché in ogni caso la persona che accogli invade in modo consistente i tuoi spazi e stravolge i ritmi ad esempio pranza e cena sempre con te, usa il tuo bagno, condivide la stanza, richiede le attenzioni dei tuoi genitori.
La particolare difficoltà di questo affido ci ha dato modo però di rafforzare le motivazioni che ti portano a prendere certe decisioni. Infatti quando ai nostri genitori, qualche mese dopo la chiusura del primo affido, è stato proposto quello di una bambina di cinque anni in carrozzina abbiamo detto tutti insieme di sì dopo averci pensato bene.
Quest’ultima esperienza, iniziata nell’ottobre del 2016, ci ha proprio cambiato la vita perché, ormai anche noi più grandi, con una sensibilità diversa e più matura, abbiamo davvero colto in profondità il senso dell’essere una famiglia accogliente. Questo affido inoltre ci ha aiutato ad aprire il cuore e gli occhi anche alla realtà della disabilità fisica.
Sicuramente il nostro coinvolgimento attivo nelle varie esperienze di accoglienza è dipeso da chi abbiamo ospitato perché si tratta di bambini e ragazzi con culture, storie e caratteri diversi. Per questa ragione il coinvolgimento cambia anche rispetto a chi realmente e fisicamente ci troviamo davanti.
Di fronte all’esperienza dell’affido ci siamo rese conto che, oltre che alle dinamiche, cambiano anche le nostre priorità attraverso un nuovo spirito di collaborazione che si è creato all’interno della nostra famiglia.