26 marzo 2019
Il cambiamento climatico prima di tutto. Due marce per il clima e le grandi opere inutili che hanno polarizzato l’attenzione non solo a Roma ma in tutto il Paese, con studenti e studentesse, comitati e movimenti in prima fila. Migliaia di persone in piazza per tenere alta l’attenzione sui temi ambientali, e ricordare come il cambiamento climatico stia assumendo sempre più il ruolo di variabile determinante nell’amplificare i fattori di crisi e contribuisca a incrementare il livello di instabilità interna dei Paesi. Cambiamento climatico e aumento delle diseguaglianze sono, secondo il World Economic Forum, le maggiori tendenze che daranno forma agli sviluppi globali nel prossimo decennio, di fronte alle quali è urgente un’azione collaborativa per scongiurare future difficoltà e volatilità.
Dal 1992, agenzie ONU hanno dimostrato come vi sia una evidente relazione tra l’aumento delle diseguaglianze e la distruzione ambientale, conseguenza di un modello di sviluppo che eccede i limiti della Terra e le capacità di autorigenerazione dei cicli naturali. Un legame che dipende dalla ricchezza che la governance economica continua a distruggere, più che a creare.
Concentrarsi su una concezione antropocentrica del mondo, errore di cui ora si vedono le conseguenze, considerare tutte le forma di vita non umane come assoggettabili e ad uso e consumo dell’uomo, ignorare le relazioni di forte interdipendenza che legano gli esseri umani alle altre specie e all’ambiente è stata la ricetta per incrementare le modalità distruttive del sistema capitalistico.
Se giustizia ambientale significa equa distribuzione delle risorse e dei vantaggi, l’obiettivo di ogni comunità dovrebbe essere quello di garantirla. Per le forze produttive la strada è quindi una sola: riconvertirsi ecologicamente per assicurare giustizia distributiva. Solo così può esserci una risposta alla domanda di lavoro, alla difesa dei beni comuni, alla salute pubblica e alla crisi allarmante di democrazia.
Equità sociale e giustizia distributiva nell’accesso alle risorse naturali consentirebbero di raggiungere un modello di società sostenibile. E’ immediato così comprendere come diritti della natura e diritti umani siano strettamente collegati e il loro rispetto garantisca l’integrità sia dei processi naturali, sia dei processi di partecipazione democratica. La crisi globale nel campo dei diritti umani è conseguenza diretta dell’incapacità del modello economico di garantire l’accesso alla risorse. La risposta può trovarsi solo in forme di democrazia partecipativa e comunitaria, partendo da specificità locali che intrecciano questioni apparentemente separate per arrivare ad una visione d’insieme capace di agire anche sul piano globale.
Mettere insieme una “geografia della speranza”, un pensiero lungo e rivoluzionario con al centro i temi della giustizia ambientale e i movimenti che la perseguono appare l’unico modo per uscire da una crisi che continua a schiacciare con forza i territori feriti, i diritti umani, l’equità e i diritti della Natura.
Martina Di Pirro