In queste pagine dialogano persone e realtà che da anni portano avanti, nei loro territori e nell’ambito delle loro specifiche competenze, attività a servizio dei più deboli e fragili. Viene spontaneo ripensare alla storia del Gruppo Abele, che quest’anno compie 53 anni, passati tutti sulla strada, e sottolineare un aspetto tutt’altro che scontato: i poveri non chiedono mai elemosina, chiedono sempre dignità. E questo va detto con forza, così come occorre ribadire con forza che la solidarietà per troppo tempo ha contribuito a nascondere il vuoto dei diritti, i ritardi e le omissioni delle politiche. Vuoti, ritardi e omissioni da imputare non solo a chi ha remato contro, a chi si è messo d’ostacolo, ma anche a chi – pure nel mondo del terzo settore – si è rifugiato in un prudente silenzio.
Beninteso, non voglio sminuire il valore della solidarietà, che resta il presupposto, il punto di partenza dell’impegno, ma non smetto di augurarmi un futuro in cui ci sia sempre meno solidarietà e sempre più diritti e più giustizia sociale, perché questo è lo scopo dell’impegno e del servizio alle persone.
Quanto alla politica di chi governa e ci amministra, è necessario ricordare che fare politica significa partire dai bisogni e dalle speranze della comunità: la politica deve muoversi dalle vite concrete delle persone, abbandonando la pretesa di conoscere e decidere da posizioni garantite, distanti, spesso tramite informazioni di seconda mano.
Se la politica è lontana dalla strada, dai poveri, dagli ultimi, è lontana da se stessa e dalla sua ragion d’essere: il servizio al bene comune. Perché politica è responsabilità, e la responsabilità comincia dalla relazione, dall’empatia, dalla capacità di metterci nei panni degli altri.
Anche qui coltivo un sogno, una speranza: che la politica inizi a pensare alle persone in quanto persone e smetta di considerarle come semplici elettori, di cui assicurarsi il consenso. Anche su questo siamo chiamati ad alzare la voce, perché la ricerca del consenso ha creato nel nostro Paese una situazione sconcertante, una deriva di manipolazioni e di falsità. Ed è per questo sogno che dobbiamo lottare, perché la vita privata di sogni perde slancio, sapore, significato.
Due mesi prima della strage di Capaci mi trovavo con Giovanni Falcone a Gorizia per un corso di formazione sulla droga. Lui trattava gli aspetti legislativi, io l’accoglienza dei giovani, l’ascolto delle famiglie, la prevenzione e l’educazione. Ci siamo lasciati dandoci un appuntamento che purtroppo non si è verificato, ma di quell’incontro serbo un ricordo forte: parlando di contrasto alle mafie Falcone usò più volte l’espressione «lotta di legalità e civiltà».
Ebbene, negli ultimi anni abbiamo fatto della legalità un idolo, dimenticando che la legalità non è il fine ma il mezzo: il fine è la giustizia, in particolare la giustizia sociale.
Si è parlato così tanto di legalità, in questi anni, e così tanto a sproposito, che la parola si è svuotata di senso e di vita, perché se non diventa lavoro, casa, reddito, servizi, salute, la legalità resta un’astrazione. Per non parlare di quella legalità che invece della giustizia serve il potere: quante leggi ad personam,.. quante leggi ammorbidite in corso d’opera per non disturbare questo o quel potente…
Falcone parlava di legalità e civiltà e oggi viviamo una crisi di civiltà. Per questo sono convinto che non sconfiggeremo mai le mafie se non affronteremo le questioni sociali, culturali e educative che stanno alla base del loro potere.
Lo dico con il massimo rispetto per l’opera dei magistrati e delle forze di polizia, ma se non si affrontano quei nodi le organizzazioni criminali continueranno a riprodursi, perché è vero che le mafie non sono figlie della povertà e dell’arretratezza, ma di queste si avvalgono e trovano terreno fertile per espandersi e diffondersi.
Ecco perché dobbiamo gridare che la povertà è un reato contro la dignità delle persone: perché le priva della libertà.
Dignità e libertà… Per questo è nata la rete dei Numeri Pari. Strumento per sostenere chi fa fatica, per contrastare le solitudine e i disagi. Ma anche per denunciare i soprusi e costruire insieme un mondo più giusto, dove riconoscerci diversi come persone e uguali come cittadini.