A metà luglio due delle tre liquidatrici del patrimonio Atac hanno effettuato un sopralluogo. Entro il 24 agosto lo stabile sarà stimato e venduto poi entro un anno, spiegano dalla Casa
Una lettera aperta alla giudice fallimentare che ora ha in mano il destino della Casa delle Donne “Lucha y Siesta” nel quartiere Tuscolano di Roma. Una realtà che esiste da più di 11 anni e che ha dato rifugio e supporto a più di 1200 donne vittime di violenza – 140 delle quali hanno trovato qui anche una sistemazione – insieme a oltre 60 bambini.
A scrivere alla giudice Lucia Caterina Odello, le attiviste del presidio ormai da tempo a rischio chiusura. La Casa si trova in uno stabile occupato di proprietà dell’Atac, la società di trasporto pubblico capitolina: la municipalizzata ha deciso di vendere l’edificio nell’ambito della procedura di concordato preventivo per risanare i suoi conti.
Nella lista degli sgomberi
Lucha y Siesta compare anche nella fantomatica lista degli sgomberi della Capitale: un cronoprogramma della Prefettura, diffuso dal Viminale, che – dopo il caso di via Cardinal Capranica – prevede due sgomberi definiti «urgenti» entro l’anno (presumibilmente a partire proprio da agosto) e il resto, dice il Viminale, con «una media di quattro interventi l’anno».
A differenza di altri immobili che verranno sgomberati, quello di via Lucio Sestio 10 – indicato nella lista come «sede del centro sociale Casa delle donne Lucha y Siesta» – non presenta «rischi per l’incolumità e la salute pubblica» o «criticità per l’ordine e la sicurezza pubblica del territorio». Sull’edificio, però, pende un decreto di sequestro preventivo.
Il rischio di vendita e di chiusura
A metà luglio, due delle tre liquidatrici del patrimonio Atac hanno effettuato un sopralluogo. Entro il 24 agosto lo stabile sarà stimato e venduto poi entro un anno, spiegano dalla Casa. «Ci rivolgiamo a Lei, in quanto donna, cosciente delle difficoltà che vivono le donne che vogliono sottrarsi a situazioni di violenza», per chiedere tempo e quindi rinviare la data del 24 agosto «per la stima del valore, limitatamente al bene Casa delle Donne Lucha y Siesta, di 120 giorni», scrivono le attiviste nella lettera alla giudice Odello, che Open ha letto in anteprima.
La speranza è infatti quella di guadagnare tempo in attesa dell’emanazione dei regolamenti attuativi della legge regionale n. 10 del giugno 2019. Una legge che, spiegano, interviene «per salvare quegli spazi autogestiti, come la Casa delle Donne Lucha y Siesta, che nel tempo hanno fornito un sostegno concreto al welfare, attivando e gestendo servizi di utilità sociale che sarebbero spettati alle istituzioni cittadine e riconoscendone di fatto l’operato svolto a titolo gratuito», si legge ancora nella lettera.
In mezzo, ancora una volta, la giunta di Virginia Raggi, dalla quale però le attiviste di Lucha raccontano di non avere più notizie da aprile scorso. Da quando, cioè, erano state convocate da Roma Capitale «per approfondire le questioni relative al progetto della Casa» e poi il giorno stesso della convocazione, «un’ora e mezzo prima dell’incontro stabilito» è arrivata la disdetta «per impegni istituzionali». «Abbiamo detto fin da subito che restiamo in attesa di nuova convocazione». Convocazione mai arrivata, assicurano. «Sono scomparsi».
La storia di Lucha y Siesta
L’occupazione dello stabile di via Lucio Sestio 10 ha inizio quando un gruppo di donne, «che già operava nelle battaglie per i diritti umani delle donne, ha occupato uno stabile pubblico vuoto da 13 anni al fine di renderlo disponibile per le donne che decidevano di uscire dalla condizione di violenza, in un territorio estremamente popoloso e complesso quale è il VII Municipio di Roma», raccontano le attiviste di Lucha y Siesta nella lettera alla giudice fallimentare.
«Quando entrammo, lo stabile era fatiscente e degradato. Era la casa di piccioni e topi. Con molto sforzo lo abbiamo bonificato e reso agibile fino a divenire quello che è oggi»: una Casa delle donne il cui operato è stato tra l’altro riconosciuto, a settembre del 2018, dalla Commissione FEMM – diritti delle donne uguaglianza di genere – del parlamento Europeo a Bruxelles, che «ha auspicato la riproducibilità del progetto».
«Siamo un punto di riferimento per il territorio e per le stesse forze dell’ordine», rivendicano le attiviste. «Abbiamo messo a disposizione fino a 14 posti, con un numero superiore alla disponibilità di tutti gli altri centri antiviolenza diffusi sull’intero territorio regionale», raccontava a Open Chiara, un’attivista della Casa, a febbraio.
E di Lucha, assicurano, ce ne è bisogno. «A fine luglio siamo state contattate da un Commissariato romano per trovare un posto in ospitalità per una donna con i suoi due bambini, fuggiti da una situazione di violenza domestica», raccontano nella lettera. «In quel momento la Sala Operativa sociale del Comune di Roma non aveva posti disponibili e chiedeva a noi di accoglierla».
E ancora: «Una settimana fa a notte fonda, una donna, perseguitata dall’ex compagno, ha subito una aggressione per strada, è stata soccorsa da alcune ragazze che ci hanno contattato per aver consigli su cosa fare. Abbiamo consigliato loro di portarla in ospedale, e abbiamo contattato il circuito del sistema di accoglienza cittadino, ma non avevano posti».
Due mesi fa, «una ragazza a Roma per una esperienza di studio all’estero è arrivata da noi, raccontandoci di aver subito uno stupro da un ragazzo conosciuto la sera prima e, non potendo tornare a casa, ci chiedeva un posto dove essere accolta». Insomma: in 11 anni «la nostra risposta è stata sempre e solo una: noi ci siamo e la casa delle donne è di tutte e per tutte».
Roma, nella lista degli sgomberi anche la casa rifugio per donne vittime di violenza