Le politiche realizzate negli ultimi quindici anni non l’hanno scalfita. Tocca tre milioni di under 18. Ed è un ostacolo alla mobilità sociale
La povertà minorile è associata a un limitato sviluppo delle capacità cognitive e relazionali, a un deficit nelle competenze fondamentali nella lettura e in matematica durante l’adolescenza. Ha un impatto anche sulle abilità professionali nel lungo periodo, ed è un ostacolo alla mobilità sociale. Questi problemi hanno radici profonde nel nostro Paese, che presenta tassi di povertà minorile superiori alla media europea. La quota di minori a rischio di povertà o esclusione sociale è infatti al 30,6% in Italia, a fronte di un livello nell’Unione Europea pari al 24,0%, e contro il 22,9% della Francia, il 21,9% del Portogallo, il 17,3% della Germania, il 15,2% dell’Olanda. Addirittura, nella fascia d’età 0-5 anni solo Bulgaria (31,6%) e Romania (30,8%) hanno tassi appena superiori a quelli dell’Italia (30,6%). In termini assoluti, sono un milione i bambini nella fascia 0-5 anni in condizioni di povertà o esclusione sociale, oltre i 3 milioni i minori nella stessa condizione in età inferiore ai 18 anni. Questi numeri sono il riflesso del fallimento decennale delle politiche di sostegno alla famiglia, tanto monetarie quanto tramite servizi di cura, oltre che del sottosviluppo delle politiche di contrasto alla povertà in Italia, almeno fino all’introduzione del Reddito di inclusione nel 2018 (sostituito dal più generoso Reddito di cittadinanza nel 2019). Anche se nell’ultimo quindicennio, le risorse destinate alle politiche sociali a favore di famiglie e minori sono cresciute in maniera significativa in Italia, passando dal 3,9% nel 2005 al 6,2% del totale della spesa per protezione sociale nel 2016, l’incremento non è riuscito ad aggredire la povertà tra i minori, un fenomeno persistente: prima della crisi erano infatti sempre attorno ai 3 milioni i minori a rischio di povertà o esclusione sociale. Parte della responsabilità della scarsa incisività delle politiche è da attribuirsi al limitato sviluppo dei servizi di cura (in primis gli asili nido), mentre il disegno degli strumenti di sostegno monetario non pare in grado di contrastare il fenomeno.
1 milione i bambini tra 0 e 5 anni a rischio di povertà o esclusione sociale. Peggio in Europa solo Bulgaria e Romania
Negli ultimi anni si è introdotta una pletora di strumenti -tra cui i vari bonus “bebè”, “asilo nido”, “mamma domani”- che hanno agevolato i beneficiari, ma anche contribuito a generare un quadro di misure confuse e irrazionali nel loro disegno – alcune sono erogate sulla base del reddito familiare, altre sono concesse a tutti ma favorendo chi le richiede per primo, altre ancora hanno natura temporanea-. Anche i criteri di calcolo del Reddito di cittadinanza, basati su una scala di equivalenza che riconosce un aumento limitato o nullo al crescere del nucleo familiare, sfavoriscono, in termini relativi, i nuclei poveri con minori. La buona notizia è che il Governo sembra aver individuato nel sostegno alle famiglie con minori il cardine della propria azione redistributiva. Nella bozza di legge di Bilancio per il 2020 si parla di introdurre una “Carta Bimbi” di 400 euro al mese per ogni famiglia a basso reddito con figli fino a 3 anni, a sostituire e integrare l’attuale ventaglio di bonus, e di sostituire tutti gli attuali strumenti di sostegno alla famiglia (inclusi gli assegni familiari) con un trasferimento monetario universale (graduato in base al reddito) di 240 euro al mese fino al compimento della maggiore età. La cattiva notizia è che, essendo scarse le risorse a disposizione -e non banale l’opera di riorganizzazione degli strumenti in campo- l’entrata in vigore di queste misure non sarà immediata.
Questo articolo è stato scritto da Matteo Jessoula e da Michele Raitano per la rubrica mensile OCIS all’interno di Altreconomia.