Alla fine il coronavirus è entrato nei grandi centri di accoglienza e in quelli per il rimpatrio, bombe sanitarie a orologeria delle quali si sa poco o nulla. Un centinaio di associazioni hanno lanciato un appello per la loro chiusura immediata
Dal sito de La Via Libera – del 26 marzo 2020 | di Francesca Dalrì
Migranti sbarcati sulle coste italiane additati come untori quando ancora il coronavirus sembrava un problema cinese; immigrati ritenuti immuni perché vaccinati contro la tubercolosi; sanità al collasso per colpa di fondi pubblici che sarebbero stati dirottati sulla crisi migratoria. Il mare di bufale sul coronavirus che nelle ultime settimane hanno invaso la Rete e i cellulari, passando di chat in chat, non ha risparmiato la popolazione straniera.
Nel bollettino della Protezione civile, che ogni giorno alle 18 scandisce le nostre giornate, il numero di contagiati non distingue tra italiani e stranieri. Ma nemmeno il coronavirus lo fa. A dimostrarlo sono le storie che, seppur con difficoltà, stanno emergendo dai Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e dai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di tutta Italia. E che aggravano difficoltà preesistenti, già accentuate dai cosiddetti decreti sicurezza. “Le persone che vivono nei Cpr erano invisibili prima dell’emergenza e sono invisibili ora che l’attenzione è altrove”, afferma Stefano Bleggi, coordinatore del Progetto Melting pot Europa.
“Come in ogni pandemia ci sono casi in tutta la popolazione”, conferma, se ce ne fosse bisogno, Francesca Bocchini di Emergency. Da giorni l’associazione è impegnata in varie realtà milanesi per monitorare e aiutare strutture e operatori in difficoltà. “Ci sono stati casi nelle comunità di minori non accompagnati e nelle strutture più grandi dove i riders dormono accanto ai senza tetto più anziani: sono tutti vulnerabili allo stesso modo”.
Impossibile avere numeri certi sul contagio
Dalle statistiche ufficiali è impossibile sapere quale sia la situazione del contagio all’interno delle strutture che ospitano i migranti, soprattutto per quanto riguarda Cas e Cpr, i più grandi e problematici. “Ci stanno segnalando vari casi di contagio in più Cpr, ma per il momento non posso fornire maggiori informazioni”, spiega Bleggi.
“Ciò che ruota attorno ai Cpr continua a rimanere riservato e fuori dal controllo pubblico”Linda Tomasinsig – sindaco Gradisca d’Isonzo
Di certo sappiamo che un caso è stato riscontrato nel Cpr di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia: un trattenuto arrivato il 19 marzo dalla Lombardia e risultato positivo. Già a inizio settimana alcuni trattenuti avevano cominciato uno sciopero della fame denunciando cibo avariato e assenza di saponi e ricambi di vestiti, a cui oggi si aggiunge la richiesta di essere immediatamente spostati. “Sono venuta a conoscenza del caso da una fonte non ufficiale – racconta rammaricata il sindaco Linda Tomasinsig -. Fin dall’inizio dell’emergenza ho chiesto alla Prefettura notizie in merito alla gestione della situazione, ma tuttora non mi viene fornito né dall’Azienda sanitaria né dalla Protezione civile regionale l’elenco dei casi positivi sul territorio. Le notizie che mi arrivano sono sempre frammentarie e non ufficiali. Non posso che sottolineare come ancora una volta ciò che ruota attorno all’istituzione Cpr sia mantenuto riservato e fuori dal controllo pubblico”.
Ugualmente frammentaria e difficoltosa la raccolta di informazioni sulla situazione dei grandi Cas: c’è stato un caso a Milano, nel centro di via Fantoni, e un altro a Camparada, in provincia di Monza e della Brianza, dove sono ospitati 130 richiedenti asilo. Poi è stata la volta del centro di San Candido in provincia di Bolzano. Ma un conteggio complessivo dei casi è pressoché impossibile.
Già il 13 marzo associazioni e avvocati avevano chiesto al ministro dell’Interno, alle Prefetture e alle Questure di tutta Italia di bloccare gli ingressi nei Cpr e di chiudere tutti i centri di accoglienza straordinaria di media e grande dimensione per far fronte all’emergenza sanitaria. Richiesta poi ribadita da un appello firmato il 22 marzo da un centinaio di associazioni, tra cui Libera, Asgi e il Gruppo Abele, e finora rimasto inascoltato.
Nel Cpr di Palazzo San Gervasio
Anche nel Cpr di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, al confine con la Puglia, i 40 reclusi sono da giorni in sciopero della fame. “Sono in ansia per la propria salute e sono…
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