Mentre la Banca d’Inghilterra attiva una linea di credito diretta per il governo britannico, sono sempre di più gli economisti che aprono alla possibilità di monetizzare la spesa pubblica per affrontare la pesantissima crisi legata alla pandemia di coronavirus. Un’analisi degli scenari possibili.
Emilio Carnevali 13 Aprile 2020
A quelle parole è seguita la presentazione di una serie di misure a sostegno dell’economia britannica senza precedenti in tempo di pace. Tabù economici che sembravano solidi come il granito si sono liquefatti dalla sera alla mattina. Improvvisamente, quasi nessuno è sembrato avere il coraggio di sollevare la domanda che ha martellato ogni predecessore di Sunak al numero 11 di Downing Street: “Dove troverete i soldi?”. Il quesito non era all’altezza della drammaticità della situazione.
È evidente infatti che gli Stati colpiti dalla pandemia vedranno crescere il volume del loro debito pubblico in modo considerevole. Le Banche Centrali dovranno fare la loro parte. L’idea di monetizzare parte della spesa governativa, ovvero di utilizzare moneta creata dalla Banca Centrale per gli interventi di politica fiscale, sarebbe stata colpita dagli anatemi dei guardiani dell’ortodossia economica fino a pochissimo tempo fa. Ora anche quel tabù sembra essere crollato.
Lo scorso 9 aprile, il Tesoro inglese e la Banca d’Inghilterra hanno annunciato l’estensione della Ways and Means facility, ovvero della linea di credito con la quale la Banca Centrale rifornisce direttamente di liquidità il governo. La Ways and Means facility non è stata introdotta ora. Questo canale di finanziamento diretto aveva già giocato un ruolo importante, ad esempio, durante la crisi del 2008, quando l’overdraft (scoperto) governativo aveva raggiunto il picco dei 19,9 miliardi di sterline. Sarà possibile seguirne l’evoluzione attraverso il sito della Banca d’Inghilterra, che pubblicherà i dati settimanalmente in questa sezione.
Tecnicamente non si può considerare lo strumento come una vera monetizzazione della spesa (un “helicopter money”, per usare una espressione tanto in voga), dato che la liquidità accreditata “sarà ripagata il prima possibile, e comunque prima della fine dell’anno”. Ma i confini fra questo dispositivo e strumenti o politiche simili possono essere, nella sostanza, molto labili. A dimostrazione che l’analisi economica non dovrebbe procedere scansando tabù, ma affrontando i problemi in modo razionale e laico, sapendo che situazioni diverse possono richiedere soluzioni diverse.
Lo scorso 6 aprile (in un articolo firmato dal suo editorial board) il Financial Times argomentava che la differenza fra Quantitative Easing (QE, acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale sul mercato secondario) e finanziamento monetario è più che altro fondata su come le politiche vengono presentate: la prima come a termine, la seconda come permanente. Ma nessuno può mai davvero garantire come e quando avverrà l’alleggerimento del bilancio della Banca Centrale dai titoli acquistati durante il QE.
Il paradosso è che un discorso simile può in teoria essere applicato anche al canale di finanziamento tradizionale, ovvero all’emissione di titoli governativi acquistati dal settore bancario privato. A condizione che la Banca Centrale si faccia garante dell’acquisto dei titoli di debito emessi dal governo, come ha fatto esplicitamente la Federal Reserve americana dopo lo scoppio della pandemia di coronavirus (e come gli investitori hanno fiducia faccia la Banca d’Inghilterra in caso di necessità).
Cerchiamo di vedere il funzionamento di queste tre dinamiche con l’aiuto di alcuni esempi concreti, anche a costo di una semplificazione estrema. Il governo inglese vuole costruire una rete di ospedali di emergenza per la lotta al Covid. Il corso dell’operazione è di 10 miliardi di sterline.
1. La Banca d’Inghilterra accredita 10 miliardi al governo britannico presso la Ways and Means facility. Il governo incarica la ditta Gascoigne&Co della costruzione degli ospedali e promette pagamenti esentasse. I 10 miliardi sono trasferiti sul conto della ditta Gascoigne&Co presso la banca inglese Platt. Quest’ultima vedrà crescere le proprie passività di 10 miliardi (il volume dei nuovi depositi della Gascoigne&Co) e le proprie riserve presso la banca centrale (M0, nel gergo tecnico) di un pari ammontare. L’offerta di moneta aggiuntiva che si è venuta a creare (M1 nel gergo tecnico), per il momento, è pari alla spesa governativa.
2. Il governo inglese emette 10 miliardi di titoli di Stato a 10 anni che sono acquistati direttamente dalla Banca Centrale (come si vede questa è un’ipotesi di QE ancora più estremo, con un intervento sul mercato primario). Ancora una volta il conto del governo presso la Banca Centrale viene accreditato di 10 miliardi. Alla fine del giro di pagamenti l’offerta di moneta (depositi della ditta Gascoigne&Co) è cresciuta di 10 miliardi e la base monetaria (riserve delle banche commerciali presso la Banca Centrale) di un pari ammontare.
Sia nel caso 1 che nel caso 2, la Banca Centrale potrebbe voler drenare la base monetaria in eccesso presso il sistema bancario vendendo a sua volta titoli di Stato precedentemente acquistati alle stesse banche commerciali. In questo modo avremmo alla fine un aumento dell’offerta di moneta a parità di base monetaria (fatti salvi gli eventuali obblighi di riserve aggiuntive trattenute dalla banca Platt per coprire i depositi della Gascoigne&Co).
3. Il governo emette titoli di Stato per 10 miliardi di sterline. La banca Ince si procura le riserve per l’acquisto tramite un repo (repurchase agreement) con la Banca Centrale offrendo come collaterali titoli di Stato precedentemente detenuti: in pratica vende i titoli alla Banca d’Inghilterra con la promessa di riacquistarli a bravissimo termine. Le “nuove riserve” sono prima accreditate sul conto della banca Ince, poi su quello del governo. A questo punto si riavvia il ciclo descritto nel punto 1. La chiusura del meccanismo vedrà ancora un aumento dell’offerta di moneta di 10 miliardi a base monetaria invariata (fatti salvi gli obblighi di riserva).
Ora, fintanto che la Banca Centrale promette il roll over (riacquisto) alla scadenza dei titoli detenuti, è difficile distinguere nella sostanza il punto 1 e quello 2. Ma fintanto che la Banca Centrale continua ad agire da prestatore di ultima istanza e mantenere molto bassi i tassi lungo tutto la curva delle scadenze, perfino il punto 3 non presenta problemi di sorta. Anche debiti pubblici considerevolmente maggiori di quelli attuali non porrebbero insormontabili sfide di “gestione” a fronte di un intervento deciso delle Banche Centrali. L’esperienza del QE successivo alla crisi del 2008 ci ha peraltro dimostrato che il legame fra base monetaria (M0), aggregati monetari (M1 e le altre forme in cui la liquidità può essere detenuta) e livello dei prezzi è assai più incerto di come la vecchia ortodossia della teoria quantitativa della moneta era solito presentarlo.
Se mai tensioni inflazionistiche dovessero presentarsi, come hanno sottolineato Charles Goodhart e Manoj Pradhan in un recente intervento sul “futuro dopo il virus”, esse saranno da ricondursi ad altri fattori, come ad esempio lo sconvolgimento della global supply chain (filiera mondiale delle forniture) portato da una crisi manifestatasi in prima istanza sul lato dell’offerta.
Stiamo davvero navigando in uncharted waters. Ma proprio per questo dobbiamo essere almeno certi che le nostre navi non imbarchino acqua. Le Banche Centrali sono oggi chiamate a questo compito.
* Emilio Carnevali, economista del Goverment Economic Service (Regno Unito). La responsabilità per le idee espresse nell’articolo è interamente dell’autore e non coinvolge l’istituzione di appartenenza