«C’è stato un clamoroso fallimento, e di questo ne dovremo prendere atto per il futuro, della medicina territoriale. Ammettiamolo e riconosciamo questo aspetto», ha dichiarato Massimo Galli, direttore dell’Istituto di Scienze Biomediche all’ospedale Sacco di Milano, lo scorso 8 aprile ad Agorà Rai.
Di Rosy Battaglia – su Valori.it
Più di 11 mila morti in Lombardia per coronavirus
L’intervento del primario di uno degli ospedali pubblici d’eccellenza, in prima linea dall’inizio dell’emergenza sanitaria da Covid19, ratifica, a un mese dal lockdown istituito dal governo Conte, il crollo del sistema sanitario lombardo. Quello che, secondo la Corte dei Conti e l’Ocse, dovrebbe essere uno dei più efficienti in Italia e in Europa. E che invece oggi conta i morti: oltre 11mila persone. Compresi 100 tra medici e infermieri.
Le colpe della privatizzazione
La testimonianza del professor Galli, dall’interno del sistema ospedaliero pubblico, combacia con quanto denunciato da tempo da Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, impegnato sul territorio, già consulente dell’Istituto Superiore di Sanità e della Commissione Nazionale per la Lotta contro l’Aids per il ministero della Salute (fino al 2001). Che si spinge oltre, nella sua analisi: «Le cause principali, che ci hanno impedito di reggere all’onda d’urto del coronavirus – spiega Vittorio Agnoletto – vanno ricercate proprio nell’abbandono dell’assistenza territoriale e nella privatizzazione della sanità lombarda. Ci siamo ritrovati senza posti letto in terapia intensiva, ma anche senza dispositivi di protezione negli ambulatori. Con il 10% del personale sanitario infetto, un dato sconcertante per un Paese occidentale. Senza alcun supporto ai medici di famiglia: proprio coloro che, invece, avrebbero potuto frenare la pressione su ospedali e pronto soccorso. E che ora stanno vivendo nel caos».
Il 40% della spesa sanitaria lombarda finisce a strutture private
Agnoletto ribadisce a Valori che «la sanità pubblica è stata tagliata, indebolita e smantellata. Ora deve essere rifinanziata e tornare a produrre salute. Non profitto per pochi, come è successo in Lombardia, dove il 40% della spesa sanitaria corrente è stato destinato a strutture private». A confermarlo, di fatto, è la delibera regionale XI/2906 dell’8 marzo scorso, che ha riorganizzato l’intera accoglienza sanitaria a fronte dell’emergenza coronavirus. Delibera che ha individuato come “Hub Ospedalieri”, per i pazienti Covid19, quasi unicamente strutture pubbliche, anche per le terapie acute indifferibili. Sospendendo, invece, quasi tutte le cure ambulatoriali nel privato accreditato, chiamato anch’esso a contribuire all’emergenza.
Tutto ciò è avvenuto, gradatamente, solo dal 12 marzo 2020. Lo ha reso noto la stessa Regione Lombardia. Come? Con un annuncio a pagamento, alla vigilia di Pasqua, sui quotidiani lombardi. Insieme all’Associazione Italiana per l’Ospedalità Privata, all’Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari e a Confindustria.
Emergenza Covid19: tutta sulle spalle degli ospedali pubblici
«Ricordiamo che su 100 ospedali pubblici il 60-70% ha il pronto soccorso e un reparto per emergenze. Nel privato non si arriva al 30%. In questi anni si è lasciato totalmente alla sanità pubblica l’onere dell’emergenza e al privato il profitto determinato dalla cura dei malati cronici», ribadisce Agnoletto.
Quei criteri non corrispondono esattamente alla tanto decantata «partecipazione paritaria della sanità privata al servizio sanitario della Lombardia». Secondo i dati forniti dalla stessa amministrazione, elaborati dalla professoressa Maria Elisa Sartor del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università degli Studi di Milano, «La supposta parità fra erogatore pubblico e privato», alla resa dei conti, non si è dimostrata tale. Proprio nel momento in cui ce ne sarebbe stato più bisogno.
«Al 29 febbraio 2020 in Lombardia le strutture di ricovero e cura in prima linea nell’emergenza coronavirus sono tutte pubbliche – scrive Sartor – Ospedale di Codogno (LO), Ospedale di Casalpusterlengo (LO), Ospedale di Lodi (LO), Ospedale di Crema (CR), Ospedale di Cremona (CR), Ospedale Sacco (MI), Ospedale Niguarda (MI), Ospedale San Paolo (MI), IRCCS Policlinico Ca’ Granda (MI), IRCCS San Matteo (PV), Ospedale San Gerardo di Monza (MB), Spedali civili (BS), Ospedale S. Anna (CO), Ospedale Papa Giovanni XXIII (BG), Ospedale Carlo Poma (MN)».
«L’informazione circa la “natura pubblica” delle strutture in prima linea nell’identificazione e nella cura dei contagiati dal coronavirus è quindi la prima notizia rilevante su cui soffermarsi – precisa Sartor – La seconda notizia è l’assenza sostanziale nell’emergenza in Lombardia, e nel periodo considerato, di un ruolo rilevante della sanità privata».
Oneri al pubblico, guadagni al privato
La fotografia scattata da Sartor ci dice che prima dello scoppio dell’emergenza coronavirus, in tutte le province, tra le strutture di ricovero ordinario, quelle private superavano il 50%, anche quelle maggiormente colpite dal Covid-19, come Milano, Bergamo e Brescia.
I dati sono stati ricavati da un’accurata analisi dei flussi informativi pubblici – come ha confermato da Sartor a Valori – resasi necessaria, in quanto bilanci e informazioni sul sistema socio-sanitario della Lombardia non sono, a tutt’oggi, così facilmente accessibili e trasparenti.Nel 2017 solo il valore dei ricoveri nelle cliniche del privato accreditato era arrivato a quasi a un miliardo di euro, 974 milioni, ben il 45,5% a fronte di un miliardo e 169 milioni di euro del pubblico.
L’Italia, sia secondo i dati OCSE che Bloomberg, nonostante i tagli draconiani che l’hanno portata ad avere una delle spese sanitarie più basse d’Europa, è rimasta in testa nelle classifiche internazionali, fino al 2019. Ma si allontana, sempre più, dal ricoscimento ottenuto nel 2000, da parte dell’OMS, come una delle nazioni con la sanità tra le migliori al mondo. «Riconoscimento ottenuto per qualità di cure, strutture e presenza di personale sanitario, ottenuti con la riforma del 1978», ricorda Agnoletto.
L’efficienza economica non può misurare la qualità di un sistema sanitario
«Mancano medici specializzati e di famiglia, infermieri, manca il turnover generazionale», aveva già sottolineato a Valori Nerina Dirindin. La Fimmg (Federazione italiana medici di famiglia) ha calcolato, infatti, che nei prossimi 5 anni andranno in pensione più di 14mila medici di famiglia.
Mancano, anche e soprattutto, medici specialisti, almeno 16.500, a causa dell’imbuto formativo, con insufficienti borse di studio, sia per per la medicina generale, che per le specialità. Tra quelle che che si troveranno maggiormente sguarnite, secondo lo studio di Anaoo-Assomed, oltre pediatria, anestesia e rianimazione, medicina d’urgenza. Scenario che spiega come in piena crisi, proprio in Lombardia siano dovuti arrivare medici specializzati da Cuba, per esempio.
La metà degli italiani over 65 anni soffre di patologie croniche
E i risultati dello smantellamento della sanità pubblica, intanto, cominciano a farsi vedere.«Proprio i dati OCSE ci mostrano come la qualità della salute tra la popolazione italiana stia crollando. Più della metà degli italiani, dopo i 65 anni, non ha più una vita sana, lamentando una o più patologie croniche». Quelle su cui si riversano le attenzioni della sanità privata in Lombardia. Conclude Agnoletto: «Oltre tre milioni di cittadini, secondo il disegno della giunta regionale, non dovrebbero più sottostare alle cure dei medici di base. ma ai cosiddetti “gestori” che, nella stragrande maggioranza, sono strutture private, sorrette da fondi finanziari internazionali».
Non solo in Italia: la sanità in Europa paga le politiche di austerità
Intanto, tutta l’Europa si ritrova a combattere la più grande pandemia del secolo e a non poter far altro, per ammissione di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, che applicare le misure di distanziamento sociale, isolare gli anziani, mentre si lavora al vaccino. Una situazione che evidenzia, ancora una volta, come le politiche di rigore, applicate anche con i tagli alla spesa pubblica destinati alla sanità, si siano rivelati un tragico boomerang.
A denunciarlo, in Francia, oltre al sindacato dei medici internisti, è stato anche il presidente della federazione sanità privata, Lamine Gharbi, che ha ammesso: «Oggi stiamo pagando le conseguenze della politica di austerità». Proprio per questo restano fondamentali le scelte operate all’interno di ogni Paese e, nel caso italiano, dalle singole regioni.