Niente sarà più come prima. Questo il refrain di questi giorni. E noi vorremmo che molte cose non tornassero più come prima. Perché il prima è stato il problema. Lo è stato a livello globale, attraverso l’affermazione di un modello economico che non riconosce nessuna relazione e interdipendenza con il resto della vita, producendo distruzione, ingiustizie ambientali e povertà. Lo è stato a livello europeo, dove si è determinato un sistema competitivo fra Stati che, di fatto, ha rinnegato il valore politico della solidarietà fra i popoli, e l’ha sostituita con il rigore dell’austerità e il ridimensionamento compassionevole dello Stato Sociale. Lo è stato a livello nazionale, attraverso continui processi di privatizzazione di beni pubblici e l’indebolimento dei principali sistemi di protezione sociale, a partire dal lavoro, dalla scuola, dai servizi sociali e dalla sanità. Lo è stato nella Capitale del Paese, con un governo che non riesce a governare la complessità di questa città. La pandemia che ci ha travolti, non è stata affatto democratica, poiché ha peggiorato fortemente le condizioni delle fasce sociali più deboli. Ha aumentato le disuguaglianze sociali, economiche, geografiche, di genere e alle povertà già conosciute se ne sono aggiunte di nuove. Quelle derivanti dal precariato diffuso, dal lavoro perduto, dall’impossibilità di cavarsela con il lavoro grigio o nero. A questo dobbiamo aggiungere il veloce scivolamento verso il basso di una porzione importante di partite IVA, di lavoro autonomo, di artigiani. Migliaia di persone si sono trovate improvvisamente senza la possibilità di reperire autonomamente il cibo per mangiare. Questa situazione ha fatto esplodere tutte le criticità che già conoscevamo, esasperandole con il necessario obbligo del distanziamento sociale impossibile da mantenere per le migliaia di persone che vivono per necessità negli stabili occupati sparsi nella Capitale, le persone senza dimora, le comunità Rom e Sinti, i migranti più o meno regolari, sommando in questo modo la questione sociale a questione sanitaria.
A tutto questo non c’è risposta, se non frammentata e parziale, da parte dell’Amministrazione capitolina e di altri soggetti istituzionali. E non bisognerà aspettare molto per accorgerci, in maniera più evidente di prima, che dove non arriva lo Stato, arrivano la criminalità organizzata e le mafie. Quel sistema di protezione che le istituzioni, a vario titolo, negano, viene già offerto col reclutamento sul territorio, sommando disastro su disastro. Allo stesso modo, non bisognerà attendere molto perché le liquidità e le disponibilità di risorse delle mafie vadano ad acquisire, più o meno direttamente, le aziende in difficoltà come ci ricorda l’allarme lanciato dal Ministero dell’Interno.
L’unica risposta arrivata forte e chiara è quella data dai soggetti non istituzionali. Dalla cooperazione sociale, che non ha mai interrotto i servizi per anziani, diversamente abili, minori e famiglie in difficoltà, riorganizzando tutto il lavoro di assistenza della città, nell’assenza completa del livello centrale del Comune di Roma, che oggi minaccia di non pagare quanto dovuto agli enti gestori dei servizi. Dal mondo del mutualismo sociale, dell’associazionismo, del volontariato, a supplenza – e non a integrazione – delle istituzioni di prossimità. Quello stesso mondo cacciato di fatto (o mal tollerato) dalle strutture pubbliche del Comune. Parliamo degli effetti della famigerata delibera 140, della Giunta Marino, che la Giunta Raggi ha fatto propria. Proprio quel mondo che oggi consente una qualche tenuta del tessuto sociale della città, di fatto si vuole estromettere. Per questo chiediamo di riconoscere esperienze, realtà, spazi sociali – tra cui i luoghi gestiti dalle associazioni e dai movimenti femministi – che rappresentano beni comuni dove la resistenza si trasforma in progettualità, vita sociale, cultura, umanità e governo del territorio. Ecco perché non potremo accettare nessun concetto di legalità che non preveda una vera giustizia sociale. Ecco perché lavoreremo affinché quella delibera finisca nella pattumiera della politica e della storia.
Allora il Comune di Roma renda disponibili i propri beni immobiliari e quelli confiscati alle mafie destinandoli a usi sociali, anche superando le logiche del bando pubblico e trovando nuove strade per dialogare con la città, ad esempio con forme di progettazione partecipata. Per dare risposte a chi è senza casa ed è costretto a occupare, alle persone senza dimora e per i centri di accoglienza dei migranti, in modo da superare gli attuali cartelli e togliere acqua a quegli scoli che hanno portato all’inchiesta Mafia Capitale. Riconosca il diritto alla residenza, oggi quasi obbligato, spendendosi perché venga abrogato l’art. 5 del decreto Lupi. Proponga l’ampliamento di un reddito di base esteso a tutti e tutte. Si attivi affinché la ripresa dell’economia non passi più per le regalie alla rendita immobiliare, ma per progetti di sviluppo fondati sulla rigenerazione e l’auto-recupero. O per il superamento del Digital Divide, anch’esso fonte di forti e non più tollerabili disuguaglianze. Lo abbiamo visto nella vicenda grottesca della distribuzione dei buoni alimentari, dove qualcuno immaginava Wi-Fi, pc e stampanti per ogni cittadino. O anche per la didattica a distanza, dove non basta certo qualche computer distribuito, ma una idea compiuta di cosa voglia dire la conquista della conoscenza da 0 ai 18 anni. Provando a immaginare una città diversa, nella quale anche la mobilità, visto che stanno riaprendo i settori produttivi, possa coniugare sicurezza e sostenibilità.
Siamo certi che si comprenderà il perché di toni così accorati e linguaggi così aspri. Così come noi comprendiamo che nessuno possiede la bacchetta magica. Conosciamo l’entità del debito di Roma Capitale, figlio di una amministrazione scellerata sedimentata nel corso degli anni. Ma proprio per questo riteniamo che la politica debba assolvere al proprio compito, pretendendo di riconsegnare Roma al ruolo che le compete. Cominciando dal collocare la spesa sociale fuori dal patto di stabilità, definendo l’autonomia dei Municipi in maniera compiuta, riappropriandosi di un ruolo nella costruzione della sanità territoriale che pure la 833 del 1978 consegnava ai comuni.
Per questi motivi chiediamo alla Sindaca di Roma:
- Individuazione e condivisione di procedure chiare per permettere l’accoglienza delle persone fragili nei centri dedicati nella fase 2 e 3 dell’emergenza;
- La concessione della residenza a chi vive in stabili di fortuna;
- La risoluzione del contenzioso con la Casa Internazionale delle donne e comodato d’uso gratuito; ritiro dell’ipotesi di sgombero per Lucha y Siesta e soluzione politica che riconosca il valore culturale e politico del progetto;
- Il ritiro della Delibera 140;
- L’Individuazione di Beni immobiliari da mettere a disposizione per i servizi di accoglienza e le necessità abitative;
- L’incremento del fondo per le politiche sociali, tagliate dal bilancio comunale;
- L’attivazione del Wi-fi comunale in tutti municipi come primo passo di un più ampio piano di superamento del Digital Divide nel territorio della Capitale;
- Garanzie occupazionali per le lavoratrici e i lavoratori che, direttamente o indirettamente, hanno un rapporto di lavoro dipendente dal Comune di Roma (società partecipate, nidi convenzionati, cooperative sociali, ecc.);
- Non fermare i servizi sociali, dando piena applicazione dell’art 48 del Decreto Cura Italia (come previsto dalla DGR 171), che mette al centro la co-progettazione dei servizi con diverse modalità operative e riconosce i costi delle infrastruttura sociale messa a disposizione dagli Enti.
Per firmare l’appello inviare una mail a:
retenumeripari@gmail.com
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