Il report sulla sanità italiana del Comitato nazionale contro ogni autonomia differenziata

LA PANDEMIA HA FATTO EMERGERE I DANNI ARRECATI AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE DA DEFINANZIAMENTO, PRIVATIZZAZIONE, REGIONALIZZAZIONE: COME POSSIAMO SALVARLO

In questi mesi abbiamo abbiamo assistiti attoniti alla tragedia che si è abbattuta sul mondo. L’Italia, con il suo Servizio Sanitario Nazionale (SSN) fortemente indebolito dalle politiche degli ultimi decenni, ha faticato molto a reggere e ne sta uscendo provata sul piano della tenuta economica e sociale. Le cause del tracollo sanitario sono varie e profondamente interconnesse. Innanzitutto il definanziamento della spesa per la salute e la privatizzazione dei servizi, che hanno indebolito quando non smantellato il sistema edificato con la Legge di riforma sanitaria 833/78, l’indebolimento dello Stato a favore del regionalismo. A queste cause maggiori sono da aggiungere prestazioni inappropriate, sprechi, inefficienza e corruzione.

1. DEFINANZIAMENTO DELLA SPESA PER LA SALUTE – CONFRONTO CON ALTRI PAESI EUROPEI

La spesa per la salute in Italia nel 2017 (ultima valutazione), ammonta complessivamente a € 204.034 milioni, di cui € 154.920 (75,9%) di spesa sanitaria pubblica e privata, € 41.888,5 milioni (20,5%) di spesa sociale di interesse sanitario e € 7.225,5 milioni (3,5%) di spesa fiscale. Fig. 1.

La spesa sanitaria pubblica, (che comprende anche la spesa per le strutture private convenzionate e per servizi esternalizzati1), si riduce alla quota di € 113.131 milioni, se si sottrae ad essa la spesa privata out of pocket (cioè quella diretta delle famiglie) e quella per la sanità integrativa che complessivamente ammonta a € 41.789 milioni, pari al 27% dell’intera spesa sanitaria.

Fig. 1 – € 204 miliardi di spesa per la salute (4°Rapporto Gimbe, 2019, Fig. 1.3)

La spesa sanitaria pubblica, cioè quella che finanzia il SSN, in base ai dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato, ha subito negli anni una imponente riduzione: il tasso di crescita medio annuo che era 7,4% nel 2001-2005, è sceso al 3,1%, nel 2006-2010 quindi allo 0,1% nel 2011-2017. Fig. 2.

A causa del definanziamento della spesa sanitaria pubblica, nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al SSN oltre € 37 miliardi, di cui circa € 25 nel 2010-2015 per la sommatoria di varie manovre finanziarie e € 12,11 nel 2015-2019 attraverso la continua rideterminazione al ribasso dei livelli programmati di finanziamento. Se inizialmente tale riduzione era imputabile alla crisi economica, poi è diventata indice di una precisa volontà di non investimento in Sanità. Ciò ha portato la spesa sanitaria pubblica pro-capite in Italia sotto la media OCSE ($ 2.622 vs $ 2.868), mentre molti paesi in Europa continuavano ad investire molto più di noi, tanto che la nostra spesa media pro capite è ora inferiore del 35% a quella francese (4.068 $) e del 45% a quella tedesca (4.869 $). Fig. 3

Nel confronto con gli altri paesi del G7 il trend della spesa pubblica in Italia nel periodo 2000-2017 documenta due dati particolarmente rilevanti (Fig. 4):

1. Negli altri paesi, ad eccezione del Regno Unito, la crisi economica non ha minimamente scalfito la spesa pubblica per la sanità, giacché anche dopo il 2008 il trend di crescita è stato mantenuto o ha avuto un’impennata. In Italia, invece, dal 2008 il trend si è completamente appiattito.

2. Di conseguenza, sono divenute enormi le differenze rispetto agli altri paesi europei. Mentre nel 2000 le differenze assolute della spesa pubblica tra l’Italia e gli altri paesi del G7 erano modeste, ad esempio, nel 2000 la Germania investiva $ 632 (+30,8%) in più dell’Italia ($ 2.118 vs $ 1.487) nel 2017 la differenza è quasi raddoppiata, ovvero $ 4.869 vs $ 2.622 (Fig. 3 e 4)

Col progressivo definanziamento l’Italia è diventata in Europa il fanalino di coda per la spesa sanitaria pubblica e totale, nonostante la stessa OCSE raccomandasse di non andare ad intaccare la qualità dell’assistenza.

Nella Fig. 5, fornita dalla fondazione Gimbe e comparsa in piena pandemia sul Corriere della Sera, si vede come i tagli ed il definanziamento siano stati tutti operati da governi di centro-sinistra.

Fig. 2 Trend spesa sanitaria pubblica 2001 – 2017 (4°Rapporto Gimbe, 2019)

Fig. 3. Italia si trova nel 2017 con spesa sanitaria pubblica quasi dimezzata rispetto a Germania

Fig. 4 Trend spesa pubblica pro capite 2000 – 2017 nei paesi del G7

Fig. 5

Il definanziamento ha portato ad una massiccia contrazione del personale e dei posti letto, alla riduzione delle dotazioni tecnologiche e all’aumento delle disuguaglianze.

Riduzione del Personale.

La metà dei 37 miliardi in meno alla sanità nell’ultimo decennio, riguarda il personale sanitario, la cui riduzione è stata avviata con il blocco del turnover imposto dalla finanziaria del 2006.

La sanità pubblica ha perso 8000 medici in pochi anni, (dati del Ministero Salute), che sono ora 242.000 (1×1000, come Germania, Spagna e Svizzera), di cui, si stima, 39.000 nel privato accreditato e non), mentre oltre la metà di quelli in servizio ha un’età superiore ai 55 anni. Si ritiene che entro il 2025, lasceranno 53.000 medici con la Legge Fornero e con quota 100. Si sono perse inoltre altre 40.000 figure tra cui migliaia di infermieri professionali: questi ultimi sono il 5,8 per 1000 contro gli 8,5 per 1000 dell’UE e rappresentano il vero tallone di Achille del nostro sistema.

Abbattimento dei posti letto. 2

Si è passati da 5,8 posti letto ogni 1000 abitanti nel 1998 a 3,6 nel 2017, contro una media europea di 5 ogni 1000 abitanti. In termini assoluti si è passati da 530.000 posti nel 1981 a 191.000 nel 2017. La riduzione operata oltre ad eliminare ricoveri inappropriati si doveva accompagnare ad una riorganizzazione delle strutture territoriali e alla assistenza domiciliare per sviluppare una medicina di comunità più vicina ai bisogni e alle necessità dei cittadini. Tale sviluppo si è realizzato solo molto parzialmente.

Il nodo delle Terapie Intensive (TI). Prima dell’inizio della pandemia in Italia vi erano 5.400 posti di terapia intensiva tra pubblico e privato (Dati ANAAO), escluse le Unità Coronariche (UTIC), con una percentuale di occupazione dei posti letto intorno al 48%. L’1 marzo 2020 una circolare del Ministero della Salute stabiliva un aumento del 50%, quanti ne avevano chiesto negli anni la Società di Anestesia e Rianimazione. Dal 31 marzo, nelle TI ci sono 9122 posti letto, ormai stabilizzati.

Insufficienza della dotazione tecnologica e sicurezza di strutture ospedaliere e territoriali.

Negli ultimi 20-30 anni non si è investito in tecnologie e nella messa in sicurezza delle strutture, soprattutto al Sud: secondo l’Associazione Salute Diritto Fondamentale, dovrebbero essere stanziati almeno 32 miliardi per tale scopo. La pandemia ci ha fatto scoprire che vi è in Italia una sola impresa che realizza respiratori, che non vi è produzione locale di dispositivi di sicurezza (DPI), comprese le mascherina chirurgiche, che vi è una limitata produzione di reagenti, che i laboratori pubblici non sono né idonei né in numero sufficiente e svolgere determinati compiti.

Aumento delle disuguaglianze.

Il definanziamento della sanità si è abbattuto sulla fasce più povere della popolazione e sui ceti medi, già duramente provati dagli anni della crisi, facendo aumentare le prestazioni a pagamento e il privato.

Non c’è da stupirsi che la pandemia abbia trovato medici ed infermieri già stremati, dopo anni di sovraccarico di lavoro, sia negli ospedali che nel territorio. La carenza di posti letto nelle TI è risultata drammatica, ma non vi sarebbero arrivati così tanti ammalati gravi se l’assistenza territoriale non fosse stata smantellata.

1 I servizi esternalizzati a privati: servizio mensa, servizi di pulizia, cooperative di assistenza, servizi amministrativi, centri prenotazioni visite, che gravano sulla spesa pubblica con rendimenti che non producono risparmio, spesso non sono efficaci e funzionali e quasi sempre non rispettano i diritti dei lavoratori.

2 Annuario Statistico del SSN, 2017

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