La paralisi economica provocata dalla pandemia di coronavirus può aprire alle mafie «prospettive di arricchimento ed espansione paragonabili a ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico».
È questo l’allarme senza precedenti contenuto nella Relazione della DIA sul secondo semestre del 2019 inviata al Parlamento nella quale un intero capitolo è dedicato proprio all’emergenza Covid. Nella relazione si legge che lo shock provocato dal virus ha avuto un impatto diretto su un sistema economico già in difficoltà e ha ridotto ulteriormente le disponibilità di liquidità finanziaria, aprendo la strada a possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia legale. Una situazione che potrebbe «finire per compromettere l’azione di contenimento sociale che lo Stato, anche se a fatica, garantisce». In questa fase, le organizzazioni da un lato si fanno carico di fornire un «welfare alternativo» a quello dello Stato, un «valido e utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale»; dall’altro lavorano per «esacerbare gli animi» in quelle fasce di popolazione che cominciano «a percepire lo stato di povertà a cui stanno andando incontro». Secondo gli investigatori si prospettano dunque due scenari: uno di breve periodo, in cui le organizzazioni punteranno «a consolidare il proprio consenso sociale attraverso forme di assistenzialismo, anche con l’elargizione di prestiti di denaro, da capitalizzare» alle prime elezioni possibili, e uno di medio-lungo periodo, in cui le mafie, e la ‘Ndrangheta in particolare, «vorranno ancora più stressare il loro ruolo di player affidabili ed efficaci anche su scala globale».
Il contrasto coerente, efficace e determinato alle mafie e alla criminalità organizzata, oggi è una sfida che non può prescindere dal potenziamento degli strumenti di contrasto ma anche e soprattutto di prevenzione, a partire dalle politiche sociali. Sono 57 gli enti locali dove è stata accertata l’infiltrazione mafiosa e anche Roma non si è dimostrata lontana da certi legami. Oltre alle vicende di Mafia Capitale di cui moltissimo si è parlato anche nelle scorse settimane per la pubblicazione delle motivazioni della Cassazione sulla sentenza sul processo “Mondo di Mezzo”, è importante ricordare come a Roma – già prima dell’arrivo del Covid19 – si contavano 94 clan e 100 piazze dello spaccio. Nella Capitale delle disuguaglianze 1 persona su 3 vive a rischio esclusione sociale, il 51% delle famiglie possiede un reddito inferiore a 15mila euro, 134mila giovani tra i 15 e i 34 non studia, non lavorano e non sono in formazione e 146mila pensionati vivono con meno di 11mila euro l’anno: questo il quadro drammatico pre-Covid su cui prospera e insiste il ricatto economico mafioso.
Il rapporto della DIA mette in luce quello che la Rete dei Numeri Pari denuncia da anni, chiarendo una volta in più la relazione diretta tra aumento delle disuguaglianze, mafie e corruzione. Più crescono le prime e più forti sono le altre due, che dispongono di un “welfare sostitutivo mafioso” di miliardi di euro. C’è bisogno di aprire un confronto su questi temi, a partire da un altro approccio culturale che innanzitutto sappia promuovere una partecipazione diversa. “Crediamo sia molto grave che l’amministrazione non usi tutti gli strumenti nelle mani della città per combattere le mafie – afferma Giuseppe De Marzo, responsabile nazionale per le Politiche Sociali di Libera. Tra questi strumenti c’è l’attivazione del Forum previsto dal Regolamento sui beni confiscati alle mafie che da ormai 2 anni aspettiamo per garantire l’utilizzo sociale dei beni e il coinvolgimento della cittadinanza attiva; la valorizzazione della partecipazione dei cittadini, delle associazioni e dei movimenti impegnati a portare avanti percorsi concreti di antimafia sociale in città; l’ascolto delle buone pratiche di mutualismo che hanno evitato che molte famiglie e cittadini finissero in mano alle mafie a causa dell’assenza di risposte dello Stato, dando vita a forme di democrazia comunitaria e solidale; la garanzia del diritto all’abitare per decine di migliaia di famiglie che non possono permettersi affitti fuori mercato e che a causa delle precarie condizioni di lavoro sono in emergenza abitativa; il rafforzamento e l’implementazione di politiche sociali efficaci, così da garantire la qualità e le possibilità di accesso ai servizi sociali per centinaia di migliaia di persone oggi in difficoltà. Tutto questo ci consentirebbe di contrastare efficacemente la povertà, le disuguaglianze e la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni: ciò che serve alle mafie per prosperare e per offrirsi addirittura come alternativa in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini. La politica esca dalla cultura dell’IO, delle semplificazioni e la smetta di vivere in perenne campagna elettorale: questo ci allontana dalla risoluzione dei problemi e non consente di costruire un punto di vista condiviso per guardare al futuro con speranza. Abbiamo bisogno di ricostruire il “NOI” se vogliamo sconfiggere mafie e disuguaglianze”.
Anche sul piano nazionale la situazione non è migliore. Con il Patto #Giustaitalia la Rete dei Numeri Pari ha promosso insieme a Libera, Avviso Pubblico, Gruppo Abele, Cgil, Cisl, Uil, un manifesto di 18 punti per garantire i diritti sociali, assicurare la trasparenza nella gestione degli appalti, prevedere la tracciabilità del sostegno alle imprese, applicando bene e senza scorciatoie le norme che già esistono; garantendo diritti fondamentali, come il lavoro, la casa, il reddito, l’istruzione e la salute; lottando contro tutte le forme di povertà, a cominciare da quella educativa che colpisce le giovani generazioni; recuperando gli oltre 100 miliardi di euro sottratti annualmente alla collettività dall’evasione fiscale, per sostenere la nostra economia e ridurre il carico fiscale alle famiglie italiane. Ma niente di tutto questo è stato fatto!
La Rete aveva chiesto di fare presto e bene e invece è arrivato un Decreto in ritardo, che non interviene minimamente sulle cause che hanno determinato la crisi, non corregge gli errori che il Covid19 ha messo in luce, non investe in settori fondamentali per garantire la sicurezza sociale e la salute ai cittadini. Oggi purtroppo non sono state messe in campo misure forti per combattere mafie e corruzione, così come non vi sono strumenti adeguati, ne investimenti sufficienti per sostenere le milioni di persone che sono scivolate in povertà a causa del lock down o che rischiano di scivolarci nelle prossime settimane. La politica non sta pensando al nostro futuro ma continua a governare sulla base di un consenso costruito sul breve periodo, mancando di visione. Nei prossimi mesi ci troveremo davanti alla più grave crisi sociale del dopoguerra,con 10 milioni di persone in condizioni di povertà e oltre 18 milioni a rischio esclusione sociale. Una vera e propria bomba sociale pronta a esplodere in qualsiasi momento. Per scongiurare gli scenari proposti dalla DIA, c’è bisogno di impegni concreti e norme efficaci. Il Governo e la sindaca Raggi ascoltino le proposte avanzato da associazioni, reti e sindacati in questi mesi e mostrino vicinanza a chi è quotidianamente impegnato contro le mafie sui territori: perché la forza delle mafie sta fuori dalle mafie.