Una proposta rivolta alle amministrazioni locali, regionali e al Governo nazionale per un piano casa strutturale che metta al centro la dignità e i diritti delle persone. Soluzioni costose, frammentarie e a carattere emergenziale non potranno rappresentare una risposta degna e dignitosa alla crisi abitativa
La crisi abitativa rappresenta uno degli aspetti più controversi e drammatici per la governance del Paese e della Capitale.
Un primo e fondamentale punto è sfatare un mito: l’uso del termine “emergenza abitativa”. La questione della mancanza di casa è presente da decenni, tanto è che l’ultimo piano di edilizia residenziale pubblica sostanziale di Roma risale alla Giunta Petroselli (’79-’81). Da allora, nessuna vera politica sulla casa è stata progettata e implementata, mentre si è invece consentito ai palazzinari e al mercato privato di ‘dettare’ il tenore dell’offerta abitativa e sottrarre pezzi interi di città e di patrimonio pubblico per scopi speculativi.
Con l’acuirsi e protrarsi della crisi economica iniziata nel 2008, l’emergenza abitativa si è allargata a una composizione sociale sempre più ampia e trasversale, con numeri che secondo i dati forniti dall’ACER (Associazione Costruttori Edili Roma e Provincia) nel 2018, si attestano su 57mila famiglie in emergenza abitativa tra occupanti, sfrattati, abitanti in condizione di povertà/deprivazione alloggiativa nella sola area metropolitana romana a fronte di 34.500 unità alloggiative sfitte o invendute. A tali numeri vanno aggiunte circa 13.500 persone che vivono all’interno di edifici occupati a finalità abitativa, che si sommano agli inquilini senza titolo di circa 10.000 alloggi ERP occupati, 7.500 persone senza dimora censiti (anche se i dati di chi opera nel settore ci parlano di circa 14mila persone), circa 4mila persone di “etnia Rom” che vivono dentro campi autorizzati o ‘tollerati’, nonché i 9.000 migranti espulsi dal circuito SPRAR-CAS in dismissione a causa delle Leggi Sicurezza predisposte dal precedente Ministro degli Interni Salvini.
Ciononostante, la modalità a oggi prevalente di ‘affrontare’ la questione abitativa è ‘gestirla’ come una emergenza (e quindi con soluzioni di carattere temporaneo), o ancora peggio derubricarla a un problema di ordine pubblico e degrado. Le leggi attuate in questi anni hanno infatti spostato il baricentro della politica tanto a destra da agire l’esclusione sociale per fomentare la guerra tra poveri e al tempo stesso trattare i poveri stessi come elementi di degrado urbano, anziché considerare la povertà e l’esclusione sociali come degradanti della dignità umana e del diritto alla città.
Da questo punto di vista, l’articolo 5 del Piano Casa Renzi-Lupi, che impedisce agli occupanti di registrare la propria residenza dentro uno stabile/alloggio occupato (e pertanto di consentirne la ricognizione anagrafica, accedere ai servizi di welfare locali, o rinnovare il permesso di soggiorno) rappresenta l’apripista di una vera e propria legislazione speciale che, dai Daspo urbani alle sorveglianze speciali passando per Circolari e Leggi Sicurezza Minniti-Orlando-Salvini, criminalizza gli attivisti e categorizza gli occupanti alternativamente come soggetti speciali ‘socialmente fragili’ o ‘socialmente pericolosi’.
Questa stessa legislazione oblitera completamente la natura strutturale ed economica dell’emergenza casa, e nega la funzione svolta dalle occupazioni come presidi di mutualismo, rigenerazione dal basso del territorio e produzione di welfare dal basso che sottrae terreno alla pervasività delle mafie, la cui azione trae ovviamente giovamento dall’esclusione sociale, dall’assenza di politiche di welfare e anche dalla (presunta) scarsità di risorse urbane, inclusa la casa.
Lo iato tra ‘legalità’ e giustizia è talmente profondo che, a Roma, la priorità nella lista degli sgomberi è l’occupazione di viale del Caravaggio (Tor Marancia), abitata da circa 120 famiglie in emergenza abitativa con oltre 70 minori. A seguire, il Cronoprogramma della Prefettura prevede lo sgombero nei prossimi anni di altri 25 immobili tra spazi sociali e occupazioni abitative, pur non essendo ancora riusciti a trovare soluzioni alternative per le famiglie sgomberate negli scorsi mesi e anni (Piazza Indipendenza, via Quintavalle, Cardinal Capranica), ancora una volta lasciate per strada, ricollocate forzosamente dentro il circuito dell’accoglienza o destinate verso strumenti temporanei ed inefficaci come il Buono Affitto.
Il nostro ‘Piano Casa’ non può che fondarsi su alcuni nodi centrali.
Il primo, e fondamentale piano riguarda uno stop immediato agli sgomberi e al Cronoprogramma disposto dalla Prefettura. In mancanza di soluzioni che predispongano un passaggio da casa a casa e di politiche strutturali, riteniamo non si possa procedere a ulteriori sgomberi che produrrebbero una ferita insanabile all’interno della città, ulteriore esclusione e povertà sociale.
Chiediamo che si ponga immediatamente fine alla barbara pratica dei distacchi delle utenze all’interno degli stabili occupati, dove vivono centinaia di famiglie, minori, persone anziane con malattie e disabilità a cui viene negato anche l’accesso a risorse fondamentali e salvavita come l’acqua e la luce, oltre che in primis il diritto alla casa. Ciò consentirebbe anche un superamento delle ‘soluzioni’ implementate a oggi dal Comune secondo il protocollo delle ‘fragilità sociali’, che nega la natura sistemica dell’emergenza abitativa e punta a soluzioni di carattere temporaneo ed emergenziale che ledono il diritto alla casa delle persone coinvolte, nonché quello alla sanità, all’istruzione, alla continuità lavorativa, come dimostrato dall’odissea quotidiana che le famiglie sgomberate a luglio dall’immobile di Cardinal Capranica devono affrontare.
Ciò attiene anche ad un necessario cambiamento della legislazione vigente. La barbarie giuridica e politica rappresentata dall’articolo 5 del Piano Casa deve essere immediatamente cancellata, e con essa tutta la legislazione che, con la scusa di ‘abolire’ la povertà, finisce per cancellare, criminalizzare, penalizzare ulteriormente i poveri. Allo stesso modo, l’articolo 3 dello stesso Piano Casa deve essere stralciato, laddove ha dato il ‘la’ alla svendita indiscriminata del patrimonio pubblico.
Chiediamo con forza l’abrogazione delle leggi sicurezza Minniti-Salvini-Orlando e dei dispositivi connessi che criminalizzano la povertà, il dissenso sociale e colpiscono la libertà di movimento e dei movimenti.
Il secondo piano attiene alle politiche strutturali che devono essere necessariamente realizzate a livello nazionale, Regionale e locale. Riteniamo urgente e necessario che la tanto ‘evocata’ discontinuità non rimanga semplicemente un’enunciazione, ma che si materializzi in politiche abitative complessive e strutturali che sappiano raccogliere la complessità del bisogno di casa per come si è figurato dopo la crisi, dalla manutenzione del patrimonio ERP e alle sanatorie per l’inquilinato a una moratoria sugli sfratti, passando per un piano complessivo di riuso del patrimonio pubblico a fini sociali e abitativi che prenda esempio proprio dalle pratiche di rigenerazione urbana dal basso e di creazione di comunità del valore d’uso prodotta dai Movimenti per il Diritto all’Abitare dentro la città. Tale riuso deve riguardare anche i beni confiscati alle mafie, dando attuazione a quella Delibera fortemente voluta e combattuta dalla Rete dei Numeri Pari e dai Movimenti dentro le sale di Palazzo Senatorio.
Soluzioni costose, frammentarie e a carattere emergenziale non potranno rappresentare una risposta degna e dignitosa alla crisi abitativa che ormai da decenni attanaglia questa città. Il tempo del diritto alla casa è ora!